Viaggio nelle mense sociali di Lugano e Locarno per fotografare la nuova precarietà tra mamme sole che faticano, lavoratori in bolletta col lavoro ridotto
La biblioteca dove lavorava è rimasta chiusa per tanto tempo, Anita ha dovuto stringere i denti, un’altra vittima economica del Covid. Ormai sono diversi mesi che regolarmente passa a prendere il pasto da asporto a Casa Martini a Locarno, per lei ed i suoi figli. La 45enne ticinese non ha molta voglia di parlare della sua situazione. Sono le 11.45 e fa molto caldo. Mentre se ne va accaldata con le vaschette di cibo dice solo che confida di trovare presto un lavoro in una casa anziani. Il servizio di pasti gratuito da asporto messo in piedi durante il lockdown, l’ha aiutata e la sta ancora aiutando in un momento difficile. È dura non poter nutrire la famiglia.
Entro nella sala da pranzo del centro di accoglienza, ci sono sei persone che stanno consumando il pasto. Insalata di riso, verdure bollite, pane alle olive e panettone nostrano.
Sono soprattutto uomini, tutti distanziati per il Covid, mangiano in silenzio. Le farfalle dipinte sul vivace murale mettono allegria, riassumono il senso di questo luogo di accoglienza temporaneo: trasformare momenti difficili e alleggerire situazioni complicate. Aiuta il sorriso accogliente di Simona Testa, operatrice sociale. «C’è più bisogno di quanto si pensa», dice. Mentre ci mostra la struttura – i locali comuni a pianterreno, le otto stanze doppie, le docce e la gettonatissima lavanderia – ci aiuta a capire chi sono i nuovi precari, ancora senza un volto specifico, che le statistiche ufficiali iniziano forse a cogliere (4mila posti di lavoro persi, soprattutto da donne, nel 2020 in Ticino), che non si traducono in un boom di disoccupati sia grazie all’effetto stabilizzante degli aiuti anticrisi (lavoro ridotto e indennità di perdita di guadagno) sia per il ricorso ai risparmi (per chi li ha) per non scivolare in assistenza.
A Casa Martini chi è in difficoltà trova un pasto, un letto, una doccia, la lavanderia, un ascolto e un sostegno per accedere a servizi cui si ha diritto. È un’accoglienza in emergenza.
«Abbiamo aiutato giovani sfrattati di casa, non riuscendo a trovare un apprendistato, accumulavano debiti». Questo malgrado la Città di Locarno abbia destinato 1’200 franchi ad ogni ditta che assume apprendisti. A fare molte vittime nel Locarnese è il settore della ristorazione. «C’è chi ha perso il posto o non sopravvive col salario del lavoro ridotto. Spesso – se straniero – non chiede aiuti per timore di perdere il permesso di residenza. Alcuni non li vediamo più, forse si sono rimessi in carreggiata», rileva ancora Simona Testa. Per molti lavoratori, rinunciare al 20% dello stipendio significa dover scegliere se pagare affitto o cassa malati. Sono una ventina, mediamente, i pranzi e le cene distribuiti quotidianamente a Casa Martini, con punte che sfiorano i sessanta. Mentre esco, incrocio una donna 50enne, faceva l’estetista, ma la pandemia l’ha obbligata a chiudere la sua attività. Da qualche mese mangia alla mensa del centro di accoglienza. Anche lei non vuole chiedere aiuti perché teme di perdere il permesso di soggiorno. Essere mamma single in tempi di crisi può essere davvero dura.
A 5 minuti da Casa Martini, c’è uno dei 14 centri di distribuzione di Tavolino Magico, alla chiesa Sant’Antonio di Locarno, ogni giovedì si distribuisce cibo a 200 residenti. C’è di tutto: frutta, verdura, carne, formaggio, tutto ottimo cibo salvato dal macero, che finisce sulla tavola delle famiglie più in difficoltà della città.
Anche qui troviamo segnali di una nuova indigenza in emersione e tanta incertezza per il futuro: «C’è più precarietà, abbiamo più richieste, dal giovane al meno giovane, direi da tutte le fasce di età e molte mamme sole con figli in difficoltà. La spesa che fanno da noi è una stampella», racconta Paola Mora, la volontaria responsabile del Centro di distribuzione. In totale l’associazione distribuisce ogni settimana cibo a 2’016 persone in difficoltà nella Svizzera italiana. Il 10% in più rispetto al 2019 e la pressione si sente anche nei primi mesi del 2021.
Nella ricca Lugano, Tavolino Magico, ha tre centri di distribuzione (Cornaredo, Pregassona e Viganello), dove ogni settimana i volontari distribuiscono oltre tre tonnellate di cibo a più di 600 residenti precari. Tra i nuovi arrivati, famiglie numerose e giovani senza lavoro. Alcuni non riescono a entrare nel mondo del lavoro, il rischio è quello di una vita in assistenza sociale. Eppure siamo nella capitale finanziaria del cantone.
Una tempesta sociale ed economica che si sente anche alla mensa sociale del Centro Bethlehem a Lugano (in zona Resega) dove incontriamo la responsabile Karin Belli e fra Martino Dotta. Anche questa struttura, insieme a Casa Martini, è gestita dalla Fondazione Francesco. Dalle 11 alle 12 c’è il servizio ‘take away’, mentre la mensa è aperta dalle 12 alle 14. Chi può paga 3 franchi o rimborsa il pasto facendo un’attività utile.
‘Avevo appena avviato un’attività, poi è arrivato il Covid, e sono finita alla mensa sociale’
Chi arriva prende il cibo sulla porta e se ne va. C’è lo spazio per un saluto e poco più. Vedo passare in modo frettoloso una decina di persone. Tra loro una 40enne, molto gentile, prende polenta e formaggio, mentre riparte commenta: «È dura, non avrei mai pensato di arrivare al punto di non poter dare da mangiare a mio figlio». Quando la pandemia è iniziata aveva appena avviato un’attività, tutto è crollato ancora prima di iniziare. Per entrare nel Centro Bethlehem, bisogna superare il controllo della febbre e disinfettarsi le mani, dentro una dozzina di persone sta mangiando. Dopo aver raggiunto punte di 70 pasti al giorno, ora si viaggia sui venti circa.
Il timore è sempre lo stesso: perdere il permesso di residenza. Tra gli stranieri, chi perde il lavoro, non chiede aiuti pubblici
Prima della pandemia chi non si sentiva bene, oltre ad un pasto, trovava anche un divano dove riposare un poco e sorseggiare un tè col miele; ora, a causa delle misure di contenimento sanitario, chi sta male deve aspettare fuori. All’interno si rimane giusto il tempo per mangiare. Un cambiamento imposto dalla pandemia che non tutti capiscono e rende più difficile il lavoro dei quattro operatori sociali. «C’è più tensione, più rabbia», dice Karin Belli. A Lugano sono diminuiti gli stranieri di passaggio in cerca di un’occupazione, ma ci sono più residenti in difficoltà: chi ha perso il lavoro, non riuscendo a pagare l’affitto si fa ospitare da amici, consuma un pasto alla mensa, e cerca di sbarcare il lunario senza annunciarsi alla disoccupazione. Il timore è sempre lo stesso anche qui: perdere il permesso di residenza. «Molti stringono i denti, confidando che è un periodo difficile, che passerà», conclude.
Tra i due Centri sociali di Locarno e Lugano, lo scorso anno, sono stati distribuiti nell’insieme oltre 12mila pasti gratuiti, con una media giornaliera di 42 porzioni. «Abbiamo potuto farlo, grazie al costante e generoso sostegno di numerosi donatori privati», spiega fra Martino Dotta.
Sono ormai le 13.30, il viavai è finito, la mensa si è quasi svuotata, in cucina due persone dei programmi d’inserimento lavorativo stanno pulendo piatti e padelle. Quasi tutti, dopo aver sparecchiato e disinfettato il loro posto al tavolo, se ne sono andati. C’è un uomo che indugia, ha attaccato il cellulare all’elettricità, sta forse aspettando che sia carico. Non tutti gli ospiti hanno una casa dove dormire, c’è chi di notte si arrangia con sistemazioni di fortuna e di giorno passa alla Casetta Gialla per fare una doccia, lavare i vestiti, trovare un pasto caldo. Nessuno fa domande scomode o giudica, ciascuno ha la sua vita.
Il piccolo imprenditore che pur di pagare i dipendenti ha lasciato indietro la sua cassa malati
L’ultimo bilancio lo facciamo con fra Martino: nel 2020 la Fondazione Francesco ha elargito aiuti per oltre 525mila franchi in pasti, pernottamenti, buoni spesa e fatture pagate. «Anche nei primi sei mesi di quest’anno siamo molto sollecitati», precisa. A chiedere aiuto sono sia famiglie ticinesi sia stranieri che lavorano qui da anni, la maggior parte ha problemi di fatture scoperte. Molti hanno salari molto bassi e col lavoro ridotto non riescono più a far quadrare i conti. Mi ha colpito il caso di un piccolo indipendente, che pur di pagare i salari ai dipendenti, ha lasciato indietro la propria cassa malati, accumulando mesi di arretrati. L’abbiamo aiutato a rimettersi in pari», spiega. Ogni caso viene analizzato con attenzione. La Fondazione Francesco non dà soldi in contanti, semmai paga le fatture in sospeso, chiedendone, se possibile, il rimborso graduale. Avendo vagliato tante situazioni, il frate si è reso conto della crescente precarietà anche di chi un lavoro ce l’ha. «Bisognerebbe fare più controlli in Ticino, tra lavori su chiamata e salari davvero molto bassi, il precariato avanza, anche tra chi ha un’occupazione».