Lo 'scontro' di Villa Argentina va a sollecitare certe sensibilità che faticano ad accettare che situazioni di questo tipo possano ripetersi in Ticino
Un’altra tegola per la magistratura. Cosa è davvero successo al campus di Mendrisio la notte tra giovedì 17 e venerdì 18 giugno durante la festa post diploma di una ventina di studenti dell’Accademia di architettura? Un branco di disadattati (neolaureati) si è scagliato contro gli agenti che li richiamavano all’ordine? Oppure le forze di polizia hanno abusato di spray al pepe e manganelli? Due versioni discordanti, quella ufficiale e quella fornita dai ragazzi, che andranno chiarite, speriamo in tempi celeri, da un’indagine condotta dal Ministero pubblico, il quale è chiamato a stabilire come sono effettivamente andate le cose al parco di Villa Argentina.
Il rettore dell’Usi, Boas Erez, che inizialmente aveva definito “l’aggressione fisica ad agenti di polizia un fatto grave e inquietante”, ora ci dice “attenzione, la voce degli studenti deve essere ascoltata”. Dal canto suo Giorgio Fonio – del sindacato Ocst – aveva sentenziato che “nulla può giustificare l’uso della violenza verso le forze dell’ordine”. Tutte affermazione che vanno contestualizzate.
L’uso proporzionato della forza da parte delle autorità è da sempre oggetto di discussione, ancora di più nelle ultime settimane in Ticino. L’onda lunga della demolizione dell’ex Macello, viene da dire. Già, perché uno “scontro” come quello avvenuto sul campus dell’Accademia va a sollecitare le sensibilità di buona parte della cittadinanza che, dopo i fatti del Molino, fatica ad accettare che situazioni di questo tipo possano ripetersi nel nostro cantone.
Diceva Fonio che stiamo vivendo “un periodo delicato, si percepisce un clima di tensione”. Ha ragione. Ci si domanda se anche per gli agenti di polizia sia così. Sarebbe legittimo pensare che pure per loro non sia così semplice affrontare certe situazioni. Sapendo, tra l’altro, che la divisa ha perso credibilità, in particolare tra i giovani. Un calo di fiducia che difficilmente potrà essere risanato finché certe scelte della politica non verranno chiarite, punto per punto.
La settimana scorsa, mentre mi regalava una bella vignetta, Lulo Tognola mi ha detto che “ogni direttore porta la propria impronta nel suo ambito”. Al giornale non si tratta quindi di quanti e quali pezzi firmi il direttore, ma della linea che adotta la testata e che permette ai vari giornalisti di scrivere quel che vogliono e devono scrivere, sapendo che hanno “le spalle coperte”.
Alla luce degli ultimi avvenimenti si potrebbe quindi ragionare per analogia e chiederci se è questa l’impronta che la politica locale ha voluto dare alla polizia. Sarà che gli agenti “sanno” di essere sostenuti a prescindere da chi sposa la linea del pugno duro? Oppure agiscono in una sorta di “ognuno faccia come gli pare”, viste le incapacità di coordinamento dimostrate dalle autorità?
Restiamo dell’avviso che nello Stato di diritto sia il politico di turno l’incaricato a prendere le decisioni. E per quanto riguarda le forze dell’ordine, che in ultima istanza il responsabile del loro agire sia sempre un capo dipartimento o un capo dicastero. Lo abbiamo già detto e lo ribadiamo: quella che spaventa di più è l’ipotesi di un corpo di polizia che agisce in autonomia, sganciato da una conduzione politica.
Con le elezioni cantonali del 2023 che cominciano ad avvicinarsi in modo vertiginoso la domanda diventa lecita: è così che vogliamo veder funzionare le istituzioni in Ticino?