La Super Lega è stata bocciata da tifosi, investitori e da quasi tutti i fondatori. Ma il presidente del Real Madrid continua la sua anomala guerra all'Uefa.
Erano apparsi all’ora dei vampiri, avallando l’idea che fossero lì per succhiare quel po’ di sangue che resta all’anemico calcio europeo. I loro comunicati notturni e roboanti, però, avevano una grafica parrocchiale.
Tempo due giorni e si è scoperto che la grafica era il minore dei loro problemi, e che l’autoproclamata crème del professionismo calcistico, che ambiva a diventare Nba ignorando tutte le regole (fuorché una, “dateci i soldi”) che fanno dell’Nba l’Nba, non aveva la più pallida idea di quel che stava facendo.
Erano 12, poi 6, infine 4. Due però fanno finta di non esserci, mettendo la testa sotto la sabbia: sia mai che si trovi qualche spicciolo. Uno, il presidente del Real Madrid Florentino Pérez, è ancora in guerra, ormai trasformato in uno di quei giapponesi che dopo la resa rimanevano asserragliati nel loro fortino, armati fino ai denti a difesa di una bandiera già ammainata altrove, custodi di un’idea di mondo sconfitta nei fatti. Fino a far passare i mesi, gli anni e invecchiare in una bugia, armati fino alla dentiera.
Ma quei giapponesi squinternati avevano un genuino orgoglio e una malinconica letterarietà che Pérez - sulla cui bilancia non si capisce se pesano più l’arroganza o i debiti - non può avere. Insomma, farebbe perfino tenerezza Florentino Pérez, se non fosse che è Florentino Pérez, il presidente del club più ricco del mondo che piange miseria dopo aver sperperato centinaia di milioni.
E mentre gli altri hanno già salutato - ognuno a suo modo - la Superlega, Pérez continua a indossare l'elmetto: che sia la Bbc a TeleCondominio a lui importa poco. Sta lì a ripetere ossessivamente che se il Real Madrid fallisce, fallisce tutto il calcio, dimenticando che un sistema molto più fragile di quello spagnolo ed europeo come quello scozzese, che fondava tutta la sua esistenza o quasi su due sole squadre - Celtic e Rangers Glasgow - nel 2013 si trovò a decidere cosa fare dei Rangers tecnicamente falliti. Tenerli comunque nella Premier League locale o sbatterli in quarta serie e rimetterci un po’ tutti, ma andando a letto con la coscienza pulita? Vinse il partito della coscienza per 25 a 5. E arrivederci Rangers.
Certo, per votare secondo coscienza bisognerebbe averla, e Pérez sembra non aver dato molti segnali in questo senso. L’ultima che si è studiato è una causa all’Uefa per posizione dominante. Il club che incassa più diritti di tutti, che prende vagonate di milioni in merchandising e le fette più grosse di qualsiasi torta si ritrovi sul tavolo (in Spagna hanno inventato una Supercoppa a quattro nell’anno in cui il Real non ha vinto né la coppa nazionale, né la Liga) accusa qualcuno di posizione dominante. Il tutto dopo aver cercato di creare di nascosto un sistema alternativo, economicamente dopato e privo di meriti sportivi la cui intenzione era quella di creare una posizione dominante perenne proprio alle spalle di chi gli ha permesso di diventare un mostro mangiatutto.
Che il Real e Pérez se ne freghino dell'interesse comune non è una novità. Alla vigilia dei Mondiali del 2018 annunciarono di aver preso il ct della nazionale spagnola Lopetegui infischiandosene di regole e bon ton. La Spagna naufragò. E, di lì a poco, anche il Real di Lopetegui. Ma questo a Pérez non importa, si fanno altri due debiti a tanti zeri e si riparte. Alla peggio s'inventa una Superlega.
La cosa che più sconvolge è la sicumera di Pérez, che si atteggia a grande manager non rendendosi nemmeno conto che ogni volta che dice che il Real rischia di andare gambe all’aria non è colpa dell'Uefa, del coronavirus, del riscaldamento globale, delle cavallette o del signor Malaussène. È colpa sua. Il Real lo gestiva lui, i soldi li spendeva lui, i buchi di bilancio li faceva lui. E così gli altri della Superlega.
“Lo facevamo per tenere alta la competitività”, dice. Il che fa pensare a un gruppo di 12 amici - straricchi e col complesso di inferiorità - che si detestano e collezionano opere d’arte su opere d’arte rilanciando tra loro anche quando non è il caso, gonfiando e deformando il mercato. Le appendono ai muri e, quando i muri finiscono e i soldi pure, non pensano di venderle, ma di chiedere un prestito per muri più grandi in una casa più grande. E poi ancora più grande. Alzando la posta all’infinito. Perché non solo l'Universo, ma anche l'egocentrismo e l'ingordigia di alcuni sono in continua espansione.