Erdogan 'dimentica' una sedia per la presidente della Commissione europea von der Leyen ad Ankara, ma l’Ue tarda a reagire, dimostrando le solite debolezze
Nell’epoca dei sequel cinematografici insensati, in cui Eddie Murphy torna ne “Il principe cerca figlio” trent’anni dopo aver cercato moglie, Europa e Turchia hanno deciso di risparmiare all’attore americano almeno il seguito di “Una poltrona per due”, raggiungendo – con le due poltrone per tre – livelli di farsa degni di un copione di Hollywood.
La coproduzione euro-turca non è una novità da quando Bruxelles ha deciso – ormai tempo fa – di prostrarsi al sultano in nome del dio denaro e di un rispetto reciproco che reciproco non è, assecondando Ankara sempre e comunque, su qualsiasi terreno: fosse il mancato rispetto delle regole d’ingaggio nella guerra ai curdi o quello del galateo in un salotto diplomatico, poco cambia.
Sembra quasi che Erdogan alzi – volutamente – sempre più l’asticella, scommettendo con i suoi accoliti sul punto di rottura dell’Europa, che però non arriva mai. Chissà le risate che si fanno i turchi, con la loro strafottenza combattuta a suon di buffetti.
L’ultimo capitolo, quello della poltrona mancante, si spiega da solo già nella tempistica: è accaduto lunedì, lo abbiamo saputo mercoledì, nel frattempo martedì i due leader coinvolti nel gioco della sedia – la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Ue Charles Michel – hanno parlato, come se nulla fosse accaduto, di passi avanti nei rapporti con la Turchia e poi ripreso senza convinzione quel birichino di Erdogan sui diritti civili.
Cosa debba ancora fare e dire il presidente turco per ricevere una risposta degna delle sue provocazioni non si sa: poche settimane fa ha fatto uscire il suo Paese dalla Convenzione di Istanbul, il primo documento internazionale sulla protezione delle donne da ogni forma di violenza; durante la visita dei rappresentanti Ue ha fatto arrestare dieci ex ammiragli; ieri ha mandato all’ergastolo i militari che avevano partecipato a quel golpe maldestro e forse da lui stesso inventato per togliersi di torno gli ultimi nemici. L’avesse fatto l’Iran o qualche Paese latinoamericano avremmo l’Europa piena di gente che sbatte pugni sul tavolo, qua è già tanto se chiedono a Erdogan se al tavolo si possono sedere o come Von der Leyen devono accomodarsi a quello dei bambini, che ad Ankara ha preso la forma di un comodo, scomodissimo divano.
Lasciando perdere Erdogan, che si commenta da sé, ieri molti hanno criticato Michel per non aver ceduto il posto alla collega, dimenticando che a livello gerarchico, in una visita di questo tipo, il ruolo di Michel – in quanto rappresentante dei governi europei – era più importante di quello di Von der Leyen.
Ma andando dietro all’etichetta diplomatica si finirebbe col dare ragione a Erdogan, e proprio non si può. In tempi di “cat calling”, “non una di meno”, “me too” e femministe barricadere, spiace che proprio Von der Leyen, una delle donne più potenti del mondo, non abbia avuto un vero scatto d’orgoglio. Qualcosa di più visibile di quell’“ehm” spazientito da cameriera ignorata in attesa di elencare il menu del giorno.
Serviva un gesto fuori dalle righe, epocale come tutti quei momenti iconici che si fanno manifesto delle vere rivoluzioni. Poteva permetterselo, magari piantandosi in mezzo ai due, pretendendo rispetto e anche una sedia su cui potevano sedersi davvero in tre in un colpo solo: lei, le donne e l’Unione europea.