Uno sketch della tv romanda sui ticinesi 'poveri ma sexy' ha fatto indignare i soliti reazionari. Non stupisce che certe risate qui siano bandite
Uno spera sempre che i giovani portino in politica qualcosa di nuovo, anche se poi si finisce spesso per rimpiangere le chiacchierate col nonno. Ultima puntata: la polemica che si è innescata su un breve sketch della tv pubblica romanda dedicato al Ticino. Un video di satira, meglio precisare: quella cosa che sugli schermi ticinesi non si vede più dai tempi del glorioso Cabaret della Svizzera italiana (d’altronde riesce difficile credere che oggi possano andare in onda coretti del tipo “siam pecorelle/siam di Cielle”, tanto plumbea è diventata la mentalità dominante).
Ora, la satira o è cattiva o non è, e quella francofona è sempre stata particolarmente diretta. Specie se si sceglie un comico francese – David Castello-Lopes – per prendere in giro gli svizzeri. Ennesima di una lunga serie che non risparmia alcun cantone, la puntata dedicata al Ticino gioca sullo stereotipo della “terra di contrasti”: la neve e le palme, Mario Botta che fa edifici o tutti tondi o tutti squadrati, i casermoni e i paeselli. Ma soprattutto la contraddizione tra bellezza e (relativa) povertà: “Non ho soldi ma sono sexy”, canta Castello-Lopes in una specie di inno-manifesto del ticinese, “piccolo portafogli certo ma alta sensualità / reddito ridicolo forse ma super flessibilità”.
Il risultato finale può piacere o non piacere, ma l’intenzione di fondo dovrebbe essere chiara: sfidare con la forza del paradosso e dell’iperbole i luoghi comuni che si portano in scena, rivelandone però anche l’eventuale fondo di verità. A rischio di gettar sale sulle ferite: la satira, diceva Giovanni Mosca che la conosceva bene, “è l'umorismo che ha perso la pazienza”.
Poi però c’è sempre quello che guarda il dito e non la luna e si offende subito, specie oggi che indignarsi pare diventato lo sport più popolare, in particolare sui social. Tra gli altri, in questo caso, il giovin deputato ultraconservatore Marco Romano, che alle bacheche di Facebook affida la sua stizza. Parla di “pura ignoranza farcita di luoghi comuni” e “messaggi fuorvianti e riduttivi del Ticino”. Par di vederlo lì, che scuote il capino con aria corrucciata. Il tono è quello paraleghista che va di gran moda nell’ala destra del Ppd (c’è poi ancora qualche progressista, in quel partito?): frasi come “qualche dubbio sull’utilizzo di quanto paghiamo con il canone è legittimo”, “alla fine hanno sempre ragione loro e fanno quanto vogliono senza limiti”.
Fa piacere vedere che a Berna si manda, paradosso dei paradossi, una persona fatta apposta per confermare proprio il peggiore stereotipo circa i ticinesi: quello dei ‘piangina’ che si lamentano sempre perché i ‘balivi’ ce l’hanno con loro. Una narrazione che farà certo comodo alle urne: ‘chiagni e fotti’, si dice un po’ più a sud. Ma anche una forma di campanilismo che a poco giova in sede federale.
Né serve a livello cantonale, quell’indignazione tagliata spessa e un tanto al chilo. Perché le redazioni d’oltre Gottardo possono ben sorvolare su certe indignazioni: sono lontane e non devono rispondere alle pressioni trasversali della classe politica d’un unico cantone. Più oppressivo è il discorso qui in Ticino, dove peraltro troppo spesso si crede che il servizio pubblico debba avere un'unica funzione: portare l’acqua con le orecchie ai politici di tutti gli schieramenti, e guai se manca la scorzetta di limone. Qui si ride già di meno.