La quarta elezione in due anni lascia il Paese in stallo. Ago della bilancia diventa il partito islamista Ra’am, guidato da Mansour Abbas
Per un israeliano, si sa, trattare con gli arabi è una bella scocciatura, un po’ come andare dal dentista. Il premier Benjamin Netanyahu rischia di trovarsi costretto a fare entrambe le cose quando (e se) busserà alla porta di Mansour Abbas, leader del partito arabo islamista Ra’am e dentista di professione, laureato all’Università ebraica di Gerusalemme.
Se i risultati – non ancora definitivi – dovessero essere confermati, questa alleanza sghemba diventa l'unica possibile: per Netanyahu e per chi ha fatto fronte comune contro Netanyahu. Per avere la maggioranza alla Knesset servono 61 seggi, ma la coalizione guidata da Bibi finora ne ha 52. Altri sette potrebbero e dovrebbero arrivare dall'ultradestra di Naftali Bennett, alleato più o meno naturale. Ne mancherebbero sempre due. Qui entra in gioco Mansour Abbas, che ha fatto una scommessa elettorale rischiosa, correndo da solo e sfilandosi – a meno di due mesi dalle elezioni – dalla Joint List, la lista comune in cui i partiti arabo-israeliani si presentano compatti per superare lo sbarramento del 3,25%. Quella scommessa Mansour Abbas in parte l'ha già vinta: Ra’am ondeggia tra i 4 e i 5 seggi. Ma il leader arabo-israeliano ora può puntare a fare jackpot, schierandosi con Netanyahu, o doppio jackpot iniziando a fare come il buon compratore di auto, che tratta con due concessionari diversi per vedere chi – alla fine – fa l'offerta migliore. L'altro concessionario è quello multi-marca guidato da Yair Lapid, il mucchio selvaggio anti-Bibi che al momento conta 56 seggi. Essendo quelli con meno margini potrebbero essere anche quelli disposti a concedere di più a Ra’am. Ma concedere cosa? Innanzitutto soldi per la comunità araba, poi – come detto da Abbas – “una rappresentanza significativa, che possa influenzare le decisioni”. Finora i partiti arabi si sono sempre tenuti lontani dai vari governi, mettendo una barriera netta. Quella barriera per il leader di Ra’am non esiste più. E quindi si lascia corteggiare da Netanyahu (che gli aveva già proposto delle alleanze in città strategiche nelle elezioni locali), ma a poche settimane dal voto aveva accettato anche un incontro con Lapid. Dice che bisogna smettere di considerare gli arabi più vicini alla sinistra (parte dello strappo con la lista comune riguarda proprio la posizione intransigente di Ra’am nei confronti del movimento Lgbt), poi però mette distanza tra sé e l'ultradestra alleata con il premier, urlando “mai con i razzisti”.
Abbas è per la soluzione dei due Stati, che divide Israele. In più quando flirta con Netanyahu tocca un nervo scoperto quando dice che ”se si trova un accordo con la Palestina, si trova un accordo con altri 55 Paesi islamici. E dato che io voglio la pace, finché lui non vuole la guerra possiamo parlare”. Ma la sua voglia di sicurezza è ben diversa da quella intesa da alcuni potenziali alleati di governo, che vedono una minaccia negli stessi arabo-israeliani che lui intende difendere. Un groviglio tale da poter alla fine convincere Netanyahu ad andare a cercare i seggi mancanti fra i transfughi del suo Likud nell'opposizione. In ogni caso, per chi vorrà governare, ci sarà da ingoiare un boccone amaro. Stesso sapore dell'anestesia. Finirà come dal dentista. Se fa male o meno lo scopri sempre dopo.