Tra riaperture e vaccini, uno sguardo all'emergenza socioeconomica che in Ticino diventa sempre più marcata
Anche se “il momento non è ottimale per delle riaperture”, come ha riconosciuto ieri Alain Berset, Berna ha messo in consultazione il pacchetto di misure che dovrebbe portarci a un parziale de-confinamento a partire dal 22 marzo, andamento epidemiologico permettendo. Ora la palla passa ai Cantoni. Le decisioni del Consiglio federale verranno poi comunicate il giorno di San Giuseppe.
Nel frattempo in Ticino prosegue la sua (lenta) marcia la campagna di vaccinazione, tra buone e cattive notizie per quel che riguarda le forniture. Così è stato spiegato dal farmacista cantonale Giovan Maria Zanini.
C’è però un’altra situazione di emergenza sulla quale vale la pena volgere lo sguardo. Sono parecchi gli indizi che ci fanno credere che, molto probabilmente, a livello socioeconomico il peggio debba ancora arrivare. Un punto, questo, sul quale si sono detti d’accordo tutti i vari responsabili comunali della socialità, interpellati di recente da ‘laRegione’ in una serie di radiografie della povertà che cresce in tutto il Cantone. Un effetto collaterale della pandemia che diventa sempre più marcato e preoccupante, nonostante finora l’erogazione di aiuti federali e cantonali abbia avuto un effetto arginante. Ma poi, quando questi aiuti non verranno più concessi?
Qualche (tiepida) rassicurazione giunge dal direttore del Dfe Christian Vitta, quando afferma che “il compito dell’ente pubblico è quello di accompagnare questa transizione con politiche attive”. Bene, ma in che modo esattamente? Forse dopo un anno da quando è stato creato il ‘Gruppo di lavoro per il rilancio del Paese’ ci si poteva aspettare qualcosa di più concreto. Perché di problemi all’orizzonte ne vediamo tanti.
Sappiamo inoltre che, malgrado questo scenario d’incertezza, buona parte della politica locale è più propensa a trovare le vie che conducano al risanamento delle “ferite” finanze cantonali, piuttosto che a capire come proteggere le fasce di popolazione a rischio.
Ci è pure noto che il Gran Consiglio, quando ha approvato il preventivo 2021 (in cui è previsto un disavanzo di 280 milioni), ha dato il suo nullaosta a condizione che il governo presenti entro il 30 giugno un aggiornamento dei conti che contenga “misure equilibrate finalizzate al raggiungimento di un autofinanziamento non negativo entro il 31 dicembre 2021”. Il famigerato equilibrio fiscale.
La storia insegna però: ci vorranno anni per riprenderci da questa crisi.
Più che tempistiche strette di rientro, ciò che occorrerebbe da parte del parlamento sono delle idee e anche una certa dose di coraggio. Abbiamo soprattutto bisogno di “strumenti di contrasto a lungo termine della deriva sociale” (Christian Marazzi docet). Uno Stato in grado di mobilitare risorse proprie e d’incentivare i privati a fare altrettanto. Per questo sarebbe anche importante che la politica si desse una mossa, per esempio decidendo da subito la sospensione del freno al disavanzo per tutto quel che resta della legislatura, ovvero per il biennio 2022-2023. Tale vincolo di bilancio, risalente ai tempi pre pandemici, risulta oggi uno strumento obsoleto.
È proprio questo il momento, insomma, di provare a costruire un nuovo paradigma che sia il più possibile inclusivo e sostenibile.