Invece di privatizzare Postfinance, perché non creare un istituto alternativo dedicato agli investimenti per l’ambiente e al sostegno di giovani imprenditori?
Il vento del liberismo continua a soffiare in Svizzera. Eppure solo un anno fa il Forum economico mondiale di Davos sottolineava che il capitalismo dovrebbe cambiare marcia e pensare non solo ai profitti, ma anche agli interessi dei cittadini. Chiacchiere al vento: il Consiglio federale, su suggerimento dell’economia privata, propone di privatizzare Postfinance, il settore finanziario della Posta. Posta che ha già subito un’importante riforma liberista nel 2010 con la legge sulla trasformazione dell’azienda in società anonima. I risultati, in termini di riduzione del servizio pubblico, sono lì da vedere: chiusura di sportelli, aumento dei prezzi, riduzione del servizio, condizioni di lavoro peggiori.
Postfinance è una società anonima di diritto privato e appartiene alla Posta Svizzera. È una banca zoppa, perché non può concedere crediti e ipoteche. Una limitazione imposta dal Governo per evitare di scalfire il potere delle altre banche. I tassi bassi, o perfino negativi, in vigore da tempo, hanno ridotto i margini di utili, che sono passati da 627 milioni di franchi nel 2012 a 240 nel 2019. L’anno scorso, per soccorrere Postfinance, Berna ha previsto una semiprivatizzazione, concedendo di poter accedere al mercato creditizio e ipotecario. La proposta è stata bocciata in consultazione e ora il Governo fa un passo avanti (per modo di dire) e progetta di scorporare Postfinance dalla casa madre e di trasformarla in tutto e per tutto in banca commerciale.
A parte che non si vede la necessità, da parte dello Stato, di creare una nuova banca, regalando centinaia di milioni di profitti ai privati, il problema fondamentale è che togliere il ramo finanziario alla Posta significa condannarla a morte. Infatti, in questi ultimi anni Postfinance ha sostenuto il servizio pubblico postale, che da solo sarebbe deficitario. Il direttore della Posta Roberto Cirillo ha detto chiaramente che elargire crediti e ipoteche è indispensabile: “È in gioco la possibilità di assicurare il finanziamento del servizio pubblico postale per i prossimi dieci o venti anni”. Se la privatizzazione sarà attuata, la Posta non avrà più il finanziamento necessario per garantire il servizio pubblico. Cosa dice oggi Cirillo?
Graziano Pestoni, presidente dell’Unione sindacale svizzera Ticino e Moesa, già tre anni fa denunciava il pericolo: “Postfinance ha un grande successo e rappresenta la principale risorsa finanziaria della Posta. Nel 2016 ha realizzato un utile pari a 542 milioni di franchi, ossia il 97% del totale”. Con una privatizzazione “è facile ipotizzare che ciò costituirebbe un colpo fatale per la Posta”.
La vera domanda per la ministra socialista Simonetta Sommaruga, già presidente della Fondazione per la protezione dei consumatori, è semplice: perché non offrire tutte le prerogative delle banche a Postfinance, mantenendola in mano pubblica? I menostatisti si oppongono lamentando una violazione del libero mercato, ma le banche pubbliche, o a partecipazione pubblica maggioritaria, sono una realtà in molti paesi: in Austria, in Italia, in Germania, in Francia. Negli Stati Uniti dal 2019 vi è un crescente movimento di banche pubbliche.
Perché invece non creare un istituto alternativo, convertendo Postfinance in una banca del clima dedicata agli investimenti per l’ambiente e al sostegno di giovani imprenditori e start up?