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Lo spazio del cinema, lo spazio dei diritti umani

Dal documentario sulle proteste di Hong Kong in sala per il Festival diritti umani, a ‘Mulan’ che in streaming ringrazia le autorità della persecuzione degli uiguri

La foto di Eduardo Leal, manifesto del Film festival diritti umani Lugano
15 ottobre 2020
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Ieri sera si è aperto a Lugano il Film festival diritti umani di Lugano: un’edizione in presenza e diffusa, con proiezioni anche a Locarno, Bellinzona e Mendrisio. Dei film e degli ospiti, ne scriviamo in questi giorni nelle pagine interne; qui vorremmo tentare invece una riflessione sugli spazi: sullo spazio del cinema, sullo spazio dei diritti umani, della libertà e della dignità. Perché forse non è del tutto casuale, quella radicale opposizione tra quel che nei prossimi giorni potremmo trovare nelle sale ticinesi e quello che da qualche settimana è disponibile online.

Iniziamo dal chiarire che non c’è nulla di male nell’organizzare un evento o un festival online, tanto meno nel guardare film in streaming. Solo che il mezzo non è neutro, impone le sue regole e prassi, si inserisce in dinamiche sociali ed economiche diverse che hanno il loro peso. Quel che si può ottenere – pensiamo alla maggiore raggiungibilità del pubblico, libero da vincoli geografici e spesso anche temporali – lo si rischia di perdere ad esempio in termini di condivisione, di concentrazione. Vedere un film in sala è un’esperienza totale (spegnete quel maledetto telefonino e lasciatelo in tasca) e condivisa: aspetti ai quali il festival dei diritti umani, come anche altre manifestazioni, non ha voluto rinunciare. C’è chi ha preferito solo online, o soluzioni ibride: non c’è qui un giusto e sbagliato, ma al massimo priorità diverse. E quella del festival dei diritti umani è chiara: difficile parlare di dignità, di libertà, di diritti senza trovarsi insieme, senza un’esperienza condivisa con altre persone. Sarebbe stucchevole e retorico dire che lo spazio del cinema è lo spazio dei diritti umani: limitiamoci a segnalare che c’è un’assonanza, una sovrapposizione maggiore che con i servizi di video on demand.

E qui arriviamo a quella curiosa opposizione che dicevamo all’inizio: un semplice aneddoto, va detto, ma comunque rappresentativo. Domenica prossima il Film festival diritti umani di Lugano proietterà ‘We have boots’, documentario di Evans Chan sulle proteste dei cittadini di Hong Kong per difendere la propria libertà e i propri diritti. Seguirà un incontro con Isa Dolkun, presidente del World Uyghur Congress, l’associazione che rappresenta la minoranza uigura in Cina. Sulla piattaforma di Disney+ troviamo, pagando un extra, ‘Mulan’, la versione live action del classico d’animazione, andato direttamente in streaming saltando la distribuzione nelle sale. La protagonista, Liu Yifei, ha definito vergognose le proteste di Hong Kong, appoggiando le brutali repressioni della polizia, e nei titoli di coda si ringraziano ufficialmente le autorità dello Xinjiang, la regione dove gli uiguri sono perseguitati.

Sensibilità diverse. Il problema è che le sale cinematografiche sono messe male e la pandemia sembra aver dato il colpo definitivo a un sistema già in crisi che si reggeva sostanzialmente sulle prime visioni dei blockbuster, quei “filmoni” che per qualche mese sapevi di poter trovare solo al cinema. Grandi produzioni che adesso, come appunto ‘Mulan’, puntano direttamente alle piattaforme di streaming, in molti casi di proprietà degli stessi studios che le realizzano. Tagliando fuori le sale che si devono reinventare, e in fretta, un ruolo: non basterà il biglietto a 5 franchi un giorno all’anno, se tanto quel che propongono i cinema l’hai già incluso nel tuo abbonamento di streaming.