Battere il virus non vuol dire soltanto battere la famigerata curva
‘Papà, ho un indovinello: c’è una persona che in queste settimane è sparita, chi è?’ È la domanda che nostra figlia, che frequenta le Elementari, mi ha posto ieri. Ci ho messo un po’ ad azzeccare la risposta, visto che pensavo piuttosto a qualcuno scomparso a causa del maledetto virus. Poi è venuto fuori il nome, pronunciato migliaia di volte negli ultimi mesi: Greta Thunberg. Quante volte ci siamo occupati di lei, della sua presenza ai meeting internazionali nei quali la persona più giovane a parte lei aveva almeno una quarantina d’anni in più. Adulti con responsabilità di governo che stavano lì ad ascoltarla, per convenienza/moda (perché non si poteva non farlo), o perché – almeno un po’ – ci credevano davvero all’urgenza dei suoi moniti e al fatto che qualcosa a favore del clima lo si doveva pur fare. Ma da dove iniziare?
Il coronavirus è stato molto più efficace di lei. In un attimo ha azzerato o quasi l’inquinamento ambientale. Ma purtroppo non solo quello: ha messo ko anche il nostro benessere e impugnato la falce. Vi sono lettori che ci scrivono di quanto sia ormai diventato limpido il cielo anche sopra il Mendrisiotto; di quanto apprezzino il silenzio pure durante il giorno; della loro incredulità nel non vedere più le colonne di automobili; degli effetti benefici che questo ritorno a ritmi più lenti ha sullo stress... Diciamo subito che stiamo vivendo sospesi in una situazione eccezionale che non può certo rimanere tale. E tornare come prima? Opzione anch’essa problematica. Sappiamo che, se dovessimo lasciar fare all’economia, potendo, riaccenderebbe i motori come prima. Anzi, li riaccenderebbe con maggior vigore, visto che ora va recuperato il tempo perso. E c’è già chi propone di gettare alle ortiche le tasse – come quella sul CO2 – che a Berna avevano appena deciso di introdurre, perché, sostengono i contrari di sempre, adesso per poter ricominciare non ci vogliono zavorre. Anzi, l’economia deve poter correre liberamente, senza balzelli e fardelli, che a malapena potevamo permetterci prima.
E se, cari lettori, il virus fosse anche un segnale per noi che abbiamo sfruttato e ferito per decenni il pianeta in qualche modo ribellatosi? Che è un po’ quello che andava dicendo la Thunberg, quando lanciava appelli per cambiare rotta al più presto. Tanti giovani (e qualche anziano) erano scesi in piazza, anche marinando la scuola, proprio per denunciare le derive del sistema e le temperature in rapido rialzo. Ora che però ci siamo improvvisamente fermati (registrando effetti benefici sull’ambiente, ma attenzione la storia climatica è più profonda e non si risolve certo con un lockdown), ecco che non manca chi dice di tornare a pigiare il piede sull’acceleratore, perché altrimenti rischiamo di sfracellarci: all’orizzonte paura, incertezza e tante tasche vuote! Che dire? Che ci sarà pur una via di mezzo? Una via capace di coniugare lo sviluppo economico con quello sociale e ambientale. Una via di sviluppo più rispettosa delle persone e dell’ambiente. C’è certamente, ma non si realizza da sola: va costruita e per farlo bisogna rinunciare a qualcosa un po’ tutti. Ma sarà arduo che in momenti come questi di crisi nera possa rientrare davvero fra le priorità. La volontà, per molti, è quella di ripartire, costi quel che costi. Ma, se ciò avverrà al prezzo di prima, Greta tornerà e non solo lei. La sfida è ardua, planetaria. Battere il virus non vuol dire soltanto battere la famigerata curva.