Commento

Amianto e morti alle Officine: verità fa rima con civiltà!

Fa male e genera rabbia, se ancor oggi, ad oltre trent’anni da quei fatti, non si è capaci (dall’alto!) di raccontare tutta la verità e di scusarsi

28 settembre 2019
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Come cittadino e come genitore, ancor prima che come giornalista, sto seguendo con incredulità il riemergere della questione dell’amianto sul posto di lavoro alle Officine Ffs di Bellinzona. Sarà anche per il fatto che ho un figlio apprendista (non alle Officine) e leggere su queste pagine di lavoratori adulti che facevano fare certi lavori, senza le dovute precauzioni, proprio ai ragazzi, mettendo potenzialmente in pericolo la loro salute, mi lascia sgomento. Gli interrogativi sul ruolo delle Ffs, proprietarie delle Officine, sono davvero tanti: quanto sapevano veramente a suo tempo dei rischi generati dall’amianto? Parliamo di un’azienda federale all’avanguardia e non di una dittarella locale. E poi: gli apprendisti non devono forse essere tutelati più di tutti sul posto di lavoro? Interrogativi anche sull’atteggiamento della Suva, visto il comportamento assunto di recente, con dichiarazioni claudicanti e maldestri tentativi di rimettere poi il campanile al centro del villaggio. Perché sminuire i fatti davanti alla volontà di cercare di capire cosa è successo e cosa è stato veramente fatto, quando di mezzo ci sono la salute e la vita dei lavoratori? Tanto più se, negli anni, qualcuno (purtroppo al plurale) è morto per aver respirato amianto.

Oltre che commoventi, davvero dignitose sono l’intervista rilasciata dalla signora Meroni (vedova) e le dichiarazioni rilasciate da altri testimoni che abbiamo riportato sulle nostre pagine in questi giorni. Persone che dicono chiaramente che ormai i loro cari non possono più tornare in vita, ma che si può, anzi si deve evitare che altre situazioni analoghe si ripresentino. E, dicono anche, che si deve fare di tutto perché quella maledetta malattia che non lascia scampo, e che si può manifestare anche oltre trent’anni dopo l’esposizione all’amianto, venga individuata.

Chi scrive, anche se ha superato i cinquanta da un po’, è troppo giovane per ricordarsi dei dibattiti che già ci furono negli anni Ottanta sull’amianto. Va anche bene ricordarli, come annuncia ora di voler fare per esempio l’Mps. Servirà a far luce nel buio. Ma più di tutto occorre pretendere un atto di civiltà. Chi ha la salute compromessa, o chi potrebbe scoprire ancor oggi di avere qualche danno alla salute, o chi è rimasto senza un padre, un marito o un compagno, deve poter contare sull’aiuto delle Istituzioni (e le Ffs lo sono!) su perlomeno due fronti: quello importante della ricerca della verità (cosa sapevate e cosa sapete oggi?) e quello, altrettanto importante, dell’aiuto materiale, della solidarietà e delle cure. Compreso il diritto del lavoratore di sapere (costi quel che costi) se è affetto da una malattia anche incurabile. Se il mesotelioma può essere identificato solo con l’esame Pet, questo deve diventare per chi è stato esposto all’amianto un diritto. Senza né se, né ma.

Fa male e genera rabbia, se ancor oggi, ad oltre trent’anni da quei fatti, non si è capaci (non dal basso, ma dall’alto!) di raccontare tutta la verità, di scusarsi se vi sono state delle negligenze, di assumere le proprie responsabilità. Se a così tanti anni di distanza la Procura pubblica ha aperto un fascicolo non è un buon segno. Significa che c’è ancora tanto da chiarire rispetto ai diritti dei lavoratori, le responsabilità e i (presunti) torti subiti. Ma attenzione: la magistratura non è onnipotente. Passati così tanti anni ristabilire i fatti sarà molto complesso e non si può escludere che la prescrizione riguardo a presunti reati sia nel mentre già intervenuta. In casi come questi occorre che, da parte di chi ha sbagliato (per ignoranza o negligenza), venga compiuto un deciso passo di apertura e, come detto, di civiltà verso chi ha pagato e potrebbe ancora pagare. Persino con la vita.