Il partito spera di rinverdire le ambizioni nate dopo la vittoria alle urne sull’‘immigrazione di massa’. Ma cinque anni dopo, la situazione è ben diversa.
L’Udc da qualche tempo perde colpi nelle elezioni cantonali. In questa legislatura è stata sconfitta più volte anche in votazioni popolari, perfino quando in gioco vi erano temi a lei cari (espulsione dei criminali stranieri, febbraio 2016). Un elettorato sempre più urbano e periurbano esige rapide risposte in fatto di mobilità sostenibile, riduzione delle emissioni di CO2, posti negli asili nido ecc., terreni che un’Udc aggrappata al passato non riesce ad occupare con proposte realistiche e innovative. A poco più d’un mese dalle elezioni, il partito arranca. E così, dopo aver tentato di riscaldare la minestra del “sentimento di(in)sicurezza” (cfr. ‘laRegione’, 20 agosto 2018), torna ora a battere il chiodo dell’immigrazione.
L’occasione era propizia. E l’Udc non se l’è lasciata sfuggire. Ieri non s’è fatta pregare nella prima parte del dibattito-fiume al Consiglio nazionale sull’iniziativa ‘Per un’immigrazione moderata’ (detta anche ‘per la limitazione‘, cfr. p. 5). Ancora una volta il partito (con l’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente e la Lega dei Ticinesi) si ritrova solo contro tutti. Ma diversamente dal 2014 – quando in discussione vi era la sua iniziativa ‘contro l’immigrazione di massa’, che ometteva di chiedere esplicitamente che l’accordo sulla libera circolazione (Alc) con l’Ue venisse disdetto – la posta in gioco adesso è chiara. Se nel 2020 l’iniziativa-bis della destra verrà accettata da popolo e cantoni, il Consiglio federale avrà un anno di tempo per negoziare la fine dell’Alc. Se ciò non sarà possibile, entro un mese il governo dovrà denunciare unilateralmente l’intesa. E se questa salterà, è assai probabile che a causa della ‘clausola ghigliottina’ bisognerà dire addio all’intero pacchetto Bilaterali I.
L’Udc spera di rinverdire le ambizioni nate dopo la inattesa e storica vittoria alle urne del 9 febbraio 2014, preludio al trionfo elettorale dell’ottobre 2015. Ma le speranze che il 20 ottobre la storia si ripeta, al momento sono poche. Allora Toni Brunner e i suoi ebbero buon gioco nel far credere che Bruxelles avrebbe accettato di rimettere in discussione la libera circolazione delle persone. Oggi invece tutti sanno che l’Ue s’è mostrata inflessibile, rifiutando di indebolire un principio cardine del mercato unico. Nel frattempo anche il contesto è cambiato. Dal 2013 l’immigrazione dai Paesi Ue è in costante calo (l’immigrazione netta si è praticamente dimezzata) e non figura più in cima alle preoccupazioni degli elettori. I sondaggi che l’istituto gfs.bern ha realizzato negli ultimi anni indicano tutti un solido sostegno alla libera circolazione; al contrario, l’iniziativa ‘per la limitazione’ non è mai andata oltre il 30% dei consensi. Ora sappiamo anche che l’afflusso di manodopera straniera dipende anzitutto dalla congiuntura economica in Europa e in Svizzera, non tanto dagli strumenti di politica migratoria adottati da quest’ultima. Infine, il Consiglio federale stavolta ha giocato d’anticipo, strizzando l’occhiolino anche alla clientela elettorale democentrista con la proposta di una rendita ponte per i disoccupati over 60. L’effettiva efficacia della misura – destinata, pare, a riunire una maggioranza in Parlamento – resta tutta da dimostrare, ma il suo potenziale quantomeno come strumento di marketing politico è indubbio.
Dovrebbero cambiare non poche cose nei mesi a venire perché l’Udc possa bissare il successo del 2014: un’impennata delle cifre dell’immigrazione, una nuova ‘crisi’ dell’asilo, oppure un esacerbarsi delle tensioni tra Svizzera e Ue, a seguito della mancata firma dell’accordo quadro. Può succedere di tutto, certo. Ma l’alleanza pro-Bilaterali, che nel febbraio del 2014 fece cilecca, ha buoni motivi per affrontare fiduciosa la sfida.