Commento

Non è tempo di miracoli

10 settembre 2019
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Il governo italiano che ha ottenuto ieri la fiducia della Camera dei deputati (presumibilmente seguita oggi da quella del Senato) dispone di una legittimità costituzionale non inferiore a quella dell’esecutivo che lo ha preceduto: in entrambi i casi il partito di maggioranza, i 5Stelle, si è associato a una formazione avversaria per formare una maggioranza parlamentare. Volendo andare per il sottile, in questa circostanza la legittimità numerica dell’esecutivo è persino superiore alla precedente, considerato che il Partito democratico raccolse ben più voti della Lega alle ultime elezioni politiche. Dunque le ciance fascioleghiste sull’illegittimità del nuovo governo Conte non valgono più delle bocche che le pronunciano.

Ma la questione non si esaurisce qui. È piuttosto la natura politica dell’esecutivo 5Stelle-Pd, un matrimonio palesemente forzato, a contraddire le acrobazie retoriche che ne hanno accompagnato la nascita. L’antisalvinismo, in altre parole, può essere una condizione pregiudiziale e sacrosanta, ma di sicuro non vale come programma; e se lo si spaccia per tale è una menzogna. Confermata peraltro dai moltissimi distinguo che agitano i rapporti interni ai 5Stelle, e dalla ripetuta rivendicazione dell’operato del governo Salvini da parte di Giuseppe Conte e di Luigi Di Maio, suoi zelanti servitori.

Che il Pd vi si sia accomodato rivela più la confusione di cui è preda il partito che una sua presunta vocazione patriottica, quasi che l’associarsi ai grillini possa richiamare lo stato di necessità che diede vita al Comitato di Liberazione Nazionale. Basterà ricordare che il segretario Zingaretti fu lesto a gridare “elezioni!” dopo che le aveva pretese Salvini, ma bastò un’alzata di sopracciglia di Matteo Renzi per convincerlo del contrario. E ne basterà un’altra – parlano i precedenti del Renzi medesimo – a mandare tutto all’aria. Poi, si dice, bisogna essere realisti. Il nuovo governo, pur gravato da una pesantissima eredità, nasce sotto i migliori auspici dei partner europei, indispensabili – a dispetto delle fanfaronate nazionaliste – per riguadagnare il credito dilapidato in poco più di un anno. Credito politico, senza il quale non c’è quello in moneta sonante. Ma, di nuovo, di tutto l’Italia rappresentata dal nuovo governo ha bisogno tranne che di illusioni. Il “cambio di registro” annunciato da Conte nel suo discorso beneducato è una mano di vernice su un paesaggio di macerie. Quelle lasciate dal passaggio del “suo” precedente esecutivo, e quelle su cui avevano lucrato i partiti che lo avevano formato. Politiche le prime, sociali le seconde. Di queste ultime, il Pd porta una responsabilità enorme, per la colpevole sventatezza con cui ha abbandonato all’informe risentimento grillino temi e parti della società, che giustificavano storicamente l’esistenza di una sinistra.

Ecco, in un mondo ideale, la circostanza di trovarsi al governo insieme potrebbe dare forza a un “vecchio” e a un “nuovo” modo di intendere giustizia sociale e libertà individuale. In quello reale, lo impediscono il discredito del Pd di cui è innervato il credo grillino; e la poca o nulla considerazione in cui lo stesso Pd, a ragione, tiene il personale politico dei 5Stelle. In politica la realtà ha sempre ragione sulle attese miracolistiche, ma oltre un grado di gravità è difficile distinguerla dalle sue manipolazioni. In Italia la situazione sembra esattamente questa. Un governo che nasce morto, o un morto che rinasce?