Non serve a nulla aver paura delle antenne se si dà il tablet ai bambini. Ma è uno dei tanti effetti del clima di allarmismo e confusione che si è creato
Alla fine c’è da farsi venire il mal di testa, ma non è colpa delle onde 5G. Non direttamente, almeno. È per via della confusione che regna su tutta questa faccenda della telefonia mobile di nuova generazione: preoccupazioni reali si sono sommate a informazioni approssimative, mezze verità e qualche “realtà alternativa” (perché così si chiama la disinformazione nell’era politica di Trump). Dubbi, allarmi (a volte cavalcati) e poca chiarezza sono un terreno fertile per scatenare le psicosi collettive di chi, giustamente, non sa più se preoccuparsi oppure no. Per questo è fondamentale fermarsi un attimo, riflettere e cercare di capire davvero di cosa si sta parlando. Bisogna però farlo lontani il più possibile da ogni pregiudizio di sorta, secondo il principio che solo chi è correttamente informato può poi prendere decisioni sensate.
Con la collega Simonetta Caratti abbiamo voluto prenderci questo impegno e costruire una serie di approfondimenti, di cui pubblichiamo oggi il primo, volti a dare ai lettori tutti gli strumenti per andare a fondo della questione senza preconcetti. Il che vuol dire che non daremo voce a chiunque abbia un’opinione (che potrebbe essere motivata anche da calcoli economici o politici), ma a chi ha dei fatti. E l’autorevolezza per esporli. Cercando sempre di applicare il massimo rigore alla verifica della realtà.
Fatti, appunto. Allo stato attuale è un fatto che il 5G in corso di installazione in Svizzera non ha nulla a che fare con le onde millimetriche di cui si sa ancora poco. Chi da noi le tira in ballo lo fa un po’ a sproposito. Quantomeno va un po’ lungo, dal momento che il loro impiego su suolo elvetico non è approvato. Le vecchie e nuove installazioni 5G impiegheranno invece frequenze ‘centimetriche’, analoghe a quelle del 4G e del 3G (i telefonini che abbiamo tutti in mano). Dell’eventuale impiego delle onde millimetriche si discuterà a novembre nella World Radiocommunication Conference in programma a Sharm el-Sheikh. Siamo ancora alla fase embrionale, quindi.
C’è poi la lotta alle antenne. Brutte da vedere, sì. Ma che a conti fatti sono responsabili di solo il 10% delle emissioni elettromagnetiche di telefonia mobile. Il 90% ce le infliggiamo noi stessi perché arrivano dai telefonini che ci portiamo gelosamente in tasca. O, dal tablet che diamo in mano ai nostri figli per guardare i cartoni animati, con il videostreaming di Peppa Pig che spara radiofrequenze nei dintorni come se non ci fosse un domani. E magari siamo tranquilli perché nel frattempo, presi da tanto allarmismo, abbiamo comprato loro il cappellino (dalla dubbia efficacia) anti antenne 5G. Ci sarebbe da sorridere se non si fosse a un passo dalla stagnola in testa. Invece è importante essere seri.
C’è infine l’argomento più discusso, difficile e complicato: la pericolosità delle onde. Dal punto di vista del rischio di cancro, per ora l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) le classifica come “potenzialmente cancerogene”. Il che significa che ci sono indizi che potrebbero esserlo, ma non delle prove. Nella stessa categoria troviamo il ginkgo biloba, l’estratto di foglie di aloe vera, la cocamide Dea (usata come agente schiumogeno per shampoo e bagnischiuma). Più cancerogene delle radiofrequenze sarebbero quindi la carne rossa (probabilmente cancerogena), l’alcol (provato cancerogeno) e il fumo. In base ad alcuni studi recenti sul 3G, l’Oms potrebbe rivalutare la questione. Potrebbe: se innalzerà il grado o meno, è ancora da vedere, ma qualora dovesse accadere, lo stesso sacrosanto principio di precauzione invocato sul 5G, andrebbe applicato anche a tutta la telefonia mobile e i WiFi. Perché non c’è differenza.