Fintanto che non si deciderà di delegare alla giustizia 'terrena' ogni inchiesta, non assisteremo alla svolta finale
In Vaticano si è appena chiuso il summit sulla pedofilia e sugli abusi sessuali nella chiesa.
Due ambiti – chiesa e reati sessuali – che col vangelo fanno manifestamente a pugni. Detto altrimenti (in teoria) dove c’è l’uno – e lo si predica dal pulpito – non dovrebbe esserci l’altro che striscia e si nasconde dietro le quinte. Perché uno – l’abuso del prossimo – è semplicemente la negazione dell’altro, l’amore verso il prossimo. Ma sappiamo che, purtroppo, in determinate realtà ecclesiastiche e in più paesi (!), l’annuncio del messaggio cristiano è convissuto con la sofferenza indicibile delle vittime degli abusi che si consumavano nel silenzio. La notizia odierna della condanna del cardinale Pell (consigliere finanziario di papa Francesco!) per abusi sessuali su due ragazzi di 13 anni ne è, purtroppo, l'ultima conferma.
Il nuovo (giusto, necessario, impellente, anche se tardivo!) tentativo del Vaticano è quindi quello di affrontare a viso scoperto l’infetto tabù, per cessare di nascondere il marcio fra le proprie pieghe. Un partita difficile che papa Francesco, contrariamente ai suoi predecessori, ha deciso di giocare con forza. Altri non hanno avuto il suo coraggio. In questi ultimi anni, non è comunque la prima volta che Roma tenta di incidere il bubbone: ad ogni giro di vite e rigore, sembra che la presa di coscienza e le condizioni poste dalla stessa gerarchia ecclesiastica diventino più mature. Segno che le regole sancite in precedenza per eliminare l’ascesso non erano ancora sufficienti. Va detto, che anche nella società in questi ultimi anni c’è stata una maturazione nella lotta contro questa piaga. La prevenzione sta avendo un effetto e l’educazione anti-abusi pure. La linea è oggi quella della tolleranza zero. Certo, anche in altri ambienti come la scuola, le società sportive, la stessa famiglia, pedofili e abusatori sanno infiltrarsi per approfittare delle giovani prede o di persone particolarmente deboli. Ma nella realtà ecclesiastica a fare da aggravante è senza dubbio il particolare rapporto di dipendenza/sudditanza che si instaura tra sacerdote e credente.
Quindi, fintanto che la chiesa non deciderà senza se e senza ma di delegare alla giustizia civile e terrena ogni inchiesta a partire dai primi sospetti di abusi sessuali (ciò significa delegare completamente allo Stato il compito di identificare se ci sia stato o meno reato penale) non assisteremo alla svolta del punto finale. Tale radicale approccio non è purtroppo scontato. Ricordate? Fino a qualche anno fa non si denunciava e anche da noi si spostavano semplicemente i sacerdoti colpevoli. A mancare nell’attuale reazione è poi anche la massima trasparenza sui fatti del passato (anche recente) in certe diocesi. Come evidenziato ieri nel commento di Roberto Antonini, citando il Washington Post, ‘nonostante le promesse di trasparenza, la chiesa non vuole ancor oggi pubblicare nomi e numeri, statistiche relative ai reati di pedofilia’. Senza questo tassello come essere certi che sia davvero finita qui e la gramigna estirpata? Qualche dubbio è legittimo: lo diciamo con grande rispetto nei confronti dei credenti, che pure assistono sgomenti all’affiorare di uno scandalo dietro l’altro.