Commento

Fiducia con la condizionale

27 febbraio 2016
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È un nome nuovo ed è un buon inizio. Gianni Infantino, curiosamente svizzero e curiosamente vallesano come Joseph Blatter (ma i paragoni è bene che si fermino qui), è un uomo di calcio, ma non è un uomo Fifa, buona notizia numero due e tre. Quindi, non è condizionato da schemi che è libero di ribaltare, facendo leva sul carisma (e sul progetto) che ha convinto i delegati a farne il presidente, preferendolo allo sceicco del Bahrain, sonoramente sconfitto.
Refolo appena percettibile, l’elezione del nuovo condottiero della Fifa, o folata fresca e vigorosa che spariglia le carte per poi rifare ordine e pulizia?
Tempo al tempo. Il lavoro di cui Infantino si fa carico a partire da oggi, una volta smaltita “la sbornia” di settimane travagliate, dirà se davvero la Fifa si è messa nelle mani giuste e possa dirsi a pieno titolo ai piedi di una svolta epocale, dopo il lungo (e discusso) interregno di Joseph Blatter. Anni segnati dalla crescita esponenziale di un organismo di portata mondiale, deragliato però pericolosamente verso il malaffare che ne ha minato i vertici, lasciando tuttavia quasi intatte le fondamenta che Blatter ha avuto il merito di edificare solide, dalle quali ripartire in direzione di un ciclo la cui parola chiave sarà – almeno nelle intenzioni – “trasparenza”.
Basta sotterfugi, basta intrallazzi, d’ora in avanti si cercherà di giocare a carte scoperte, affinché la ricchezza della Fifa, cui Blatter ha largamente contribuito, venga “maneggiata” alla luce del sole, solo ed esclusivamente a beneficio del calcio e del suo sviluppo planetario. Di una credibilità da ricostruire, poco importa quali e quanti siano i reati commessi e i colpevoli. Si parte dalle prime riforme adottate, che prescindono da chi tiene le briglie di un cavallo imbizzarrito, da restituire alla sua natura docile, ma nel contempo fiera.
Al di là dei progetti tecnici ed economici che sono stati presentati e verranno portati avanti (Mondiale a 40 squadre, più soldi e spazio alle confederazioni “deboli” ecc.), a Infantino è lecito chiedere una svolta a livello filosofico, con l’accento messo (o rimesso) su valori di cui il calcio si fa volentieri testimonial negli spot televisivi (il concetto di “fair play” è uno dei cavalli di battaglia della Fifa), salvo poi averli traditi nell’esercizio quotidiano del suo governo, scaduto nell’illegalità, dedito a compromessi truffaldini.
È a questo punto, al momento di cedere all’illusione che sia sufficiente tagliare la testa al serpente per porre fine al suo velenoso percorso, che subentra il disincanto. Quella sensazione ineluttabile, alla luce delle vicende degli ultimi nove mesi che in larga parte prescindono perfino da Blatter e dalla sua condotta, che la svolta possa insabbiarsi sull’arena dei buoni propositi (ci mancherebbe che non ci fossero almeno quelli...) senza avere la forza di scavare un solco netto tra passato e presente. Verso un futuro che possa davvero dirsi al riparo dalle derive di un’amministrazione che muove troppi miliardi – denaro uguale tentazione, è un assioma – per considerarsi immacolata a prescindere.
Il meccanismo dei magheggi fuori dai confini della legalità è stato innescato non tanto da Blatter, bensì dalle conseguenze degli impulsi che l’ex capo del calcio ha saputo dare a un mezzo formidabile che da vecchia carretta ha trasformato in un convoglio lanciato a trecento all’ora. Come impedire che deragliasse? Che ne portassero via un pezzo, in qualche stazione remota? A Infantino il compito di adattare i binari al nuovo corso, di rendere sicure le banchine, senza ridurre la potenza né la velocità. Per il bene del calcio. Non è forse quello che vogliono, il bene del calcio?