Il recente caso di Paderno Dugnano ha scoperchiato angosce fissate fin dall’antichità nel mito. Ma cosa spinge oggi al parricidio? Il parere dell’esperto
Figli che uccidono i genitori. Un crimine, quello del parricidio, la cui efferatezza ha fatto sì che divenisse un archetipo in diverse culture e religioni venendo fissato nel mito e nella letteratura: Zeus che spodesta il padre Crono, Edipo che uccide il padre Laio, Oreste ed Elettra che nelle tragedie di Eschilo assassinano la madre per vendicare a loro volta l’omicidio del padre Agamennone da parte di quest’ultima. Un delitto la cui punizione, per il colpevole, era l’eterna persecuzione e tortura da parte delle Erinni o, al di fuori del mito, l’atroce “poena cullei” prevista dal diritto romano.
Spesso, però, dal mito si passa alla realtà, o meglio, alla cronaca nera. Uno degli ultimi, eclatanti episodi, su cui sono tuttora in corso le indagini, è quello del 17enne che alcune settimane fa a Paderno Dugnano, nel Milanese, ha ucciso i genitori e il fratellino 12enne. Un delitto efferato, ma che non è, purtroppo, un episodio isolato. Basta andare indietro di soli due anni, e nel nostro cantone, perché alla memoria torni il delitto di Avegno: nell’aprile del 2022 un 21enne, in stato confusionale, uccise nel sonno la madre credendo, come disse agli inquirenti, che fosse “la regina delle streghe”. Attualmente si trova in una struttura clinica. Ancora in Ticino, nel 2004 a Magliaso un 28enne in seguito a una lite, uccise sotto effetto di cocaina e psicofarmaci entrambi i genitori: riconosciuto affetto da disturbi di tipo schizoide, fu il primo caso di internamento pronunciato nel nostro cantone.
Toccò in modo importante il Ticino anche il delitto noto come “la strage di Cadrezzate”: nel piccolo comune del Varesotto, nel gennaio 1998 un 22enne uccise a fucilate i genitori e il fratello 38enne. Venne fermato al valico di Ponte Tresa mentre cercava di raggiungere, probabilmente, l’aeroporto di Agno per fuggire a Santo Domingo: riconosciuto parzialmente infermo di mente, fu condannato a tre ergastoli poi mitigati in 30 anni di carcere nel terzo grado di giudizio. Con lui, un giovane ticinese, anche lui condannato per concorso in omicidio. Il movente in quel caso fu l’ostilità dei genitori a una storia d’amore con una ragazza dominicana: uccidendoli, il giovane era convinto di poter coronare il proprio sogno romantico. Una motivazione simile, per certi versi, a quella alla base della “strage di Novi Ligure”: nel febbraio del 2001 Erika, 16 anni, e Omar, 17, uccisero la madre e il fratellino di lei, mentre il padre scampò al delitto non essendo in casa. Nell’immaginario dei due giovanissimi killer, togliere di mezzo i genitori avrebbe permesso di poter essere “liberi”, di poter vivere la propria relazione senza gli ostacoli posti dai parenti.
Episodi che, inevitabilmente, al di là dell’impatto emotivo, alimentano annosi dibattiti sul disagio giovanile, scomodando, nella ricerca delle cause, in ordine sparso, i social, la violenza dei videogiochi, o genericamente “la società”. Ciò che, in sostanza, accade regolarmente ogni volta che le cronache riportano notizie che hanno con protagonisti giovani coinvolti in atti violenti. Ma un atto come l’uccisione di un genitore può essere considerato come un prodotto di sole cause esterne, o piuttosto, i meccanismi di gesti così efferati vanno ricercati in dinamiche di tipo psicologico? Ne parliamo con il medico psichiatra Andrea Politano.
Sul delitto di Paderno Dugnano, in particolare, si è parlato sia di un atto concepito quasi d’impulso, sia di premeditazione. È quasi spontaneo chiedersi cosa possa spingere un giovane a uccidere i suoi affetti più cari.
È difficile che un gesto simile venga compiuto interamente d’impulso, anche se poi passare all’atto per una cosa così intensa richiede una certa misura di impulsività. A mio avviso è una situazione molto peculiare, difficile da associare ad altri casi di cronaca, ed è anche troppo semplicistico pensare che sia una diretta e naturale conseguenza dell’evoluzione della società. Lo si capisce dall’estrema gravità del gesto e dal fatto che non ci siano stati particolari segni premonitori noti pubblicamente. Al di là di altri indizi eventuali che possano venire fuori dalle indagini, sembra che siamo di fronte verosimilmente a una problematica più ristretta, personale o al più intrafamiliare, qualcosa che ha a che fare con il ragazzo stesso e non con la società che ha intorno. A differenza di altri casi, più facili da includere in contesti di violenza o disagio giovanile, nel caso di Paderno Dugnano è più probabile che vi sia qualcosa da chiarire da un punto di vista più strettamente psichiatrico, nonostante il fatto che la violenza non sia un elemento frequente della patologia psichiatrica in generale».
Alcuni esperti hanno cercato dei collegamenti con la tecnologia, i social e i videogame. È corretto?
Su questo punto vorrei un po’ differenziarmi. In realtà, credo che bisogna soprattutto capire questo ragazzo, qual è il problema che si stava formando nel suo vissuto. Potremmo essere di fronte a una di quelle circostanze che, se sono rare nella comune pratica clinica, sono spesso ben rappresentate nei tribunali; mi riferisco ad esempio a problematiche di psicopatia, di dissociazione, oppure ancora di specifici tipi di psicosi. Leggendo alcune dichiarazioni del ragazzo, ovvero che lo sterminio della famiglia servisse a rimediare alla necessità di un cambiamento drastico, potrebbe indirizzare verso una condizione di forte paranoia e paura come possono presentarsi in una psicosi. Oppure si potrebbe pensare a un disturbo dissociativo, ovvero quelle situazioni per lo più transitorie in cui si perde il contatto con stimoli interni ed esterni e si agisce in maniera incoerente con la propria normale personalità. Sembra però una possibilità improbabile, in quanto spesso uscendo da queste situazioni, appunto transitorie, la persona è quantomeno sorpresa e critica dell’accaduto. Infine mi viene in mente la psicopatia. Si tratta di un grave disturbo di personalità tipicamente implicato in comportamenti particolarmente efferati o sproporzionati rispetto al movente, caratterizzato prevalentemente da mancanza di empatia, sadismo, autocentrismo. A differenza di altre situazioni ormai più di ordine sociale, nelle quali semplicemente un individuo può non avvertire la necessità di rispettare le regole, in questo caso è più frequente che una persona, nell’apparenza del tutto normale, si comporti di fatto da “predatore nascosto”. Alcuni elementi potrebbero portare su questa linea, ad esempio la dichiarazione di come avvertisse che i genitori fossero meno intelligenti di lui, come se questa potesse essere una giustificazione per ucciderli. Tutto ciò, chiaramente, sono ipotesi basate su quanto apparso sui media.
Figli che uccidono i genitori: viene da pensare al delitto di Novi Ligure, l’omicidio da parte dei due adolescenti Erika e Omar della madre e del fratellino di lei…
Per quel che ricordo, in quel caso c’è stata una premeditazione maggiore, tanto che i due ragazzi parlavano di voler vivere insieme liberandosi dei genitori. Da questo punto di vista si potrebbe fare un parallelismo, ma trattandosi di due persone bisogna fare dei distinguo: in quel caso, infatti, è più facile che ci fosse una personalità trainante e un’altra che alla fine è stata assoggettata facendo quello che veniva chiesto. D’altronde, quando si è in due è più facile farsi forza verso atti altrimenti impensabili illudendosi di poter ottenere qualcosa, ad esempio una nuova vita assieme. Questo ragazzo, invece, è da solo e affonda la nave su cui sta viaggiando. Difficile immaginare un obiettivo razionale tipico, reale o illusorio che fosse.
È possibile, in casi come questo, un recupero del ragazzo, una sua riabilitazione?
È difficile dirlo. Se si trattasse, come detto, di una situazione psicotica, in cui la violenza è comunque un’eccezione, trattando il disturbo di base si evitano situazioni del genere, ma mi sembra l’ipotesi meno probabile. Se invece si tratta, come appare, di un disturbo di personalità che stava per strutturarsi, in un ragazzo di 17 anni siamo ancora in tempo per poter fare qualcosa con la psicoterapia. Al momento, però, sembra una situazione talmente distante dal sentire comune che, a mio avviso, bisognerà sicuramente lasciar lavorare la magistratura e il sistema penale e agire innanzitutto in modo contenitivo, e poi capire se in questo contesto si riesca a lavorare terapeuticamente. D’altronde, persino una personalità psicopatica può integrarsi in maniera più o meno funzionale nella società. Ad esempio, penso ai tanti soggetti che manipolano e trattano da numeri e oggetti le persone per inseguire il proprio successo e la propria gratificazione, ma magari collateralmente costruendo qualcosa di socialmente richiesto. Penso agli “squali” della finanza, necessari all’economia, agli influencer con contenuti discutibili, al momento insostituibili intrattenitori, ai top manager che devono fare quotidianamente scelte poco etiche per portare avanti realtà di importanza mondiale. Tutta gente che più agisce senza scrupoli e più viene acclamata, “distribuendo” in maniera invisibile il danno che, comunque, alla fine procura. Forse, dopotutto, quello che oggi sembra ancora psichiatria, se non affrontato alla radice a livello culturale, un domani potrebbe diventare una allarmante normalità.