Stereotipi resistenti e assenza di una visione comune tra i docenti su come trattare questi temi. Più episodi razzisti in classe e Berna decide di agire
Il razzismo è sempre una brutta storia, ancora di più quando avviene tra i banchi di scuola, come se, pregiudizi e mancanza di rispetto fossero stati assimilati dai ragazzi, col latte materno. È proprio nell’ambito scolastico – quello più colpito in assoluto – che c’è stata, lo scorso anno, una forte crescita in Svizzera dei casi di discriminazione, segnalati (181 in tutto) alla Rete di consulenza per le vittime. Come il caso che vi abbiamo raccontato negli scorsi mesi, ai danni di un adolescente delle Medie di Lugano, bersaglio nelle chat dei compiti di continue aggressioni verbali (‘brutto negro’) da parte di un compagno di classe. I genitori della vittima hanno denunciato il ‘bullo’, poi condannato a due giorni di lavoro di pubblica utilità da parte del giudice del Tribunale dei minorenni. Una scuola, sempre più multiculturale, e purtroppo luogo privilegiato dove accadono episodi di razzismo. Ma c’è anche il risvolto della medaglia: la scuola come luogo per imparare tra compagni di culture diverse e sui libri cos’è il razzismo, le forme di espressione passate e presenti. Ma davvero gli attuali strumenti pedagogici integrano la diversità della società? Come viene trattato il razzismo: riguarda gli altri o viene calato nel quotidiano? Un tema caldo, martedì anche la Camera alta a Berna ha deciso un piano nazionale contro il razzismo, definendolo una piaga della società elvetica. Dovrà prepararlo il Consiglio federale.
C’è molto da fare, partendo dalla scuola. Secondo un recente studio, i libri di testo scolastici svizzeri potrebbero fare meglio in materia di razzismo. Il tema non è citato né nel piano di studio per la Svizzera tedesca (Lehrplan 21) né in quello per la Romandia (Plan d’études romand). Questo si riflette in strumenti didattici che non offrono una definizione esaustiva, ignorano la dimensione strutturale del razzismo, che viene analizzato soprattutto in una prospettiva storica (colonialismo, teorie della ‘razza’ e nazionalsocialismo) e collocato in uno spazio geograficamente lontano (Usa, [ex] colonie, violazioni globali dei diritti umani), ma non è praticamente mai messo in relazione al nostro quotidiano (spazio di prossimità). Questo è emerso da una recente indagine commissionata (all’Istituto per la ricerca e lo sviluppo dell’Alta scuola pedagogica della Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale) dalla Commissione federale contro il razzismo (Cfr) sul materiale didattico in uso nelle scuole in Svizzera. Anche gli insegnanti interpellati giudicano i libri inadeguati e la loro formazione carente.
Della tematica si è occupata anche Lorenza Rusconi Kyburz, docente ricercatrice Supsi in Scienze dell’educazione al Dfa/Asp: “C’è un’attenzione sempre maggiore, le case editrici stanno rivedendo tanti testi, le nuove edizioni degli albi illustrati sono attente al tema della diversità”, spiega. Qualsiasi input legato al quotidiano permette una riflessione più proficua e realistica: “La sensibilità del singolo docente è quasi più importante del mezzo usato. Penso a un percorso didattico ideato da una maestra delle Elementari con canzoni, pagine web della Confederazione sulla lotta al razzismo, aspetti legali, illustrazioni, fatti di cronaca. La docente usa eventi quotidiani per far riflettere i ragazzi sul razzismo. Un ottimo esempio”.
La ricercatrice Supsi Lorenza Rusconi Kyburz
La ricercatrice ha analizzato sia come vengono preparati gli insegnanti a lavorare in contesti culturalmente eterogenei, sia cosa fanno concretamente le scuole per migliorare l’attenzione verso la multiculturalità. “Molto è lasciato alla sensibilità dei docenti, alcuni sono attivi e sensibili al tema. Mancano messaggi chiave condivisi, una visione comune su come trattare nella scuola queste tematiche. Avendo una base comune, il messaggio sarebbe veicolato in modo più efficace”. Dove questo c’è, gli effetti si sentono a più livelli: “Gli istituti che lavorano maggiormente sulla tematica hanno più strumenti per affrontare eventuali problematiche e i docenti si sentono meno soli e più preparati”. Testato sul tema della multiculturalità anche il gruppo di docenti in formazione alla fine del bachelor (era il 2018) all’interno del quale l’attitudine generale nei confronti della diversità non è risultata particolarmente positiva: “Alcuni passi sono già stati intrapresi, ma c’è ancora molto da fare. Il tema è però sul tavolo a livello cantonale come pure al Dfa dove, nell’ambito del Piano d’azione 2025-2028, è prevista l’attivazione di misure di sviluppo e approfondimento dedicate a questo ambito”.
Concretamente cosa possono fare la scuola, un docente (anche un genitore) per contribuire a educare le nuove generazioni a una cultura delle differenze? Se la scuola vuole essere un motore del cambiamento, va aumentato il livello di consapevolezza degli stereotipi di genere e razzisti veicolati in ambito educativo. Perché purtroppo ce ne sono molti e passano di generazione in generazione come verità acquisite senza una lettura critica. Riconoscerli, decostruirli, evitare di riprodurli all’infinito è la via per costruire una società più inclusiva.
Un punto di partenza sono i libri per l’infanzia che (attraverso testi e immagini) influenzano profondamente la percezione che un bambino sviluppa di sé e degli altri: come disinnescare allora stereotipi e pregiudizi sessisti e razzisti nella pratica educativa? Come scegliere un buon testo? È il tema della nuova guida ‘Con occhi nuovi’ (di Irene Biemmi, Valeria Galimi, Vanessa Righettoni, Giovanni Tarantino), sostenuta dall’Università di Firenze, che aiuta ad affinare le capacità di scegliere un buon libro di narrativa e testi scolastici, il più possibile orientati al principio della cultura delle differenze, evitando gli stereotipi, privilegiando immaginari alternativi. Ne abbiamo parlato con una delle autrici, la ricercatrice e storica dell’arte Vanessa Righettoni, attualmente impiegata all’Università degli Studi di Torino. L’abbiamo incontrata alla Biblioteca cantonale di Bellinzona dove era invitata per una conferenza nell’ambito della campagna ‘Noi e gli Altri - Scuola e lotta al razzismo’.
La ricercatrice dell’Uni di Torino Vanessa Righettoni
Il dato più rilevante emerso dalla ricerca sui materiali scolastici del ’900 in Italia è che gli stereotipi visivi legati al genere persistono indisturbati nel corso degli anni, mentre quelli razzisti si concentrano soprattutto negli anni del colonialismo e poi tendono a diradarsi, generando un altro problema, non meno grave, che è quello della mancata rappresentazione di interi gruppi etnici… gli ‘invisibili’. “Sono tanti gli stereotipi di vecchia data, sia sessisti che razzisti, che vengono ancora veicolati tra i banchi di scuola attraverso testi e immagini”, dice Righettoni. Ci fa un esempio: “Penso a un fumetto in un testo scolastico che ritrae un bimbo africano che parla all’infinito: ‘Io volere parlare italiano’. Insistere sulla difficoltà dei bambini o bambine immigrati a esprimersi correttamente e a comprendere ragionamenti complessi è uno stereotipo. Se c’è in un libro, non è un buon segnale”.
Un altro consiglio è verificare se nel testo c’è una contro-narrazione che contrasta la normalizzazione del racconto dominante, decostruendo le visioni negative o stereotipate dell’altro e promuovendo una visione differente. Spiega: “Nelle tavole dei mestieri non c’è quasi mai l’africano o l’africana che è direttore di banca, non lo si propone come un lavoratore in carriera in giacca e cravatta. Implicitamente si propone agli alunni che certi ruoli sono preclusi a certe categorie”. Non sono mai messaggi espliciti, ma passano a un altro livello, entrano nel nostro immaginario. “Vengono acquisiti come una verità, in modo inconsapevole”. Sono invece libri interessanti, quelli che introducono una contro-narrazione rispetto alla norma: “Lo fanno scardinando degli stereotipi, ad esempio proponendo trame diverse come la principessa che salva il principe, come il lupo cattivo nero che diventa bianco e bonario, come Cappucetto rosso che non è l’ingenua che si fa abbindolare”.
Un altro aspetto è osservare ciò che manca. Quello che i bambini non vedono nei libri insegna loro chi conti e chi no nella società. “L’invisibilità o la sottorappresentazione di interi gruppi nei libri di fiabe o scolastici, mina di fatto la loro importanza e non restituisce la complessità della società”. Che messaggio arriva a un bambino/a che cresce solo con la mamma o col papà, se nei libri a scuola la famiglia monoparentale (molto diffusa) non è mai rappresentata? “Meglio optare per i libri che offrano rappresentazioni variegate della realtà sociale, come sono anche le classi scolastiche oggi”.