Più casi di discriminazione tra i banchi scolastici in Svizzera. I docenti, spesso lasciati soli, potrebbero aiutare i ragazzi a vedere con altri occhi
Svizzeri puntuali. Tedeschi rigorosi. Napoletani simpaticamente rumorosi. Afroamericani col ritmo nel sangue. Scozzesi parsimoniosi... La mente umana funziona per categorie, tende a generalizzare, appiccica etichette, semplifica la realtà a tal punto da stravolgerla creando caricature, esasperando aspetti positivi e negativi, fondati o totalmente inventati. Un punto è fermo: c’è sempre un ‘noi’ verso gli ‘altri’. Cresciamo assimilando e riproducendo, senza tanti filtri, pregiudizi a volte banali, in certi casi offensivi, spesso non veritieri, sempre sottilmente pericolosi. Quando il pregiudizio diventa un ostacolo alla conoscenza, si rischia una spinta alla violenza. Un rischio concreto anche per la Camera alta a Berna che martedì ha dato luce verde a un piano nazionale contro il razzismo, definendolo una piaga della società elvetica. Dovrà prepararlo il Consiglio federale.
Una società sempre più multiculturale è sfida e opportunità per la scuola. In classe bisognerebbe insegnare il rispetto, scardinando un pensiero nocivamente discriminatorio, ma purtroppo è il luogo privilegiato dove accadono episodi di razzismo: sono stati ben 181 (un vero record) lo scorso anno i casi in Svizzera segnalati alla Rete di consulenza per le vittime. Un contesto dove gli studenti trascorrono gran parte del loro tempo, di conseguenza chi subisce viene ferito in modo continuativo e intenso. Come possono gli insegnanti aiutare gli allievi a vedere la realtà con occhi diversi? Purtroppo, spesso non riescono a farlo al meglio. Perché hanno testi inadeguati, una formazione carente, nessuna o quasi misura chiara e condivisa per fronteggiare le discriminazioni in classe. Molto è lasciato alla creatività del singolo. C’è chi fa molto bene e chi preferisce guardare dall’altra parte. La scuola deve fare meglio, è il recente appello della Commissione federale contro il razzismo (Cfr).
Ad esempio, istituzionalizzando misure e protocolli dentro gli istituti, creando un punto di riferimento per i casi di razzismo, dove docenti, studenti (sia vittime, sia autori) e familiari possano rivolgersi. Ad esempio, scegliendo testi scolastici in modo da evitare quelli con stereotipi che inibiscono il pensiero creativo, producono disinformazione sulla realtà sociale, dimenticando porzioni della società. Ciò che manca nei libri insegna ai ragazzi chi conta e chi no. Tra i grandi assenti le famiglie omogenitoriali, monoparentali o ricostituite; gli immigrati in ruoli di successo della società. Come si sentirà chi appartiene alle categorie dimenticate o sottorappresentate? Come spiega la ricercatrice Righettoni (a pag. 6) il bombardamento inizia dai libri per l’infanzia (oggi forse dai videogiochi) che rappresentano una realtà (già, ma quale realtà?), veicolando sottilmente stereotipi sessisti e razzisti che si insinuano in modo acritico e potente nella mente, rappresentando un mondo rotto, che tendiamo a riprodurre in modo inconsapevole.
Compito di un buon docente è anche quello di smascherare questi condizionamenti, promuovere intelligenti contro-narrazioni che tolgano forza alla discriminazione e allarghino la mente degli allievi. Come la muscolosa Biancaneve che salva il principe, come il trendy manager afroamericano. Dando agli allievi strumenti per valorizzare la diversità, iniziando dal compagno di banco, usando le classi multiculturali come palestre per allenare relazioni interpersonali rispettose.