Salvati o pensionati dall’Intelligenza artificiale che entra anche negli uffici. Ecco come Big data ed ecologia stanno stravolgendo il mercato del lavoro
Dalla transizione verde all’Intelligenza artificiale: nei prossimi 5 anni l’economia globale, e quella svizzera, avranno bisogno di nuovi profili. Cambierà un impiego su quattro e il 2% sarà eliminato: a dirlo un recente studio del Forum economico mondiale (WEF). Saranno più richiesti esperti di Big data, Intelligenza artificiale (Ia), sicurezza informatica, ingegneri ambientali, educatori, agricoltori, esperti in commercio digitale. Avranno vita dura impiegati, cassieri, venditori (per via degli acquisti online), professioni di ufficio e segreteria. Il saldo finale di questo Tsunami professionale – secondo le 803 imprese globali interrogate nel rapporto ‘The future of Jobs’ – sarà una perdita di 14 milioni di posti. Inflazione alle stelle, rallentamento della crescita economica e carenze di approvvigionamento sono le maggiori minacce. Mentre i motori della crescita occupazionale sono l’Intelligenza artificiale, il rientro di parti di produzione un tempo delocalizzate e la transizione verde. Quanto ci sia bisogno di ingegneri ambientali lo dimostrano le continue catastrofi. I due politecnici federali ne sfornano un centinaio l’anno, saranno soprattutto loro che dovranno trovare ingegnose soluzioni per le sfide ambientali. Cento non bastano, si dovrebbe formarne di più, secondo il prof. Paolo Burlando che dirige il Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e geomatica al Poli di Zurigo.
Altre sfide (ma anche opportunità) le pone l’Intelligenza artificiale: una rivoluzione tecnologica che impatterà su uffici e colletti bianchi, automatizzando una serie di attività ripetitive. Serviranno professionisti per governare gli algoritmi. Avere un capo robot, come succede a chi fa consegne a Ginevra, è problematico: «Chi sa anticipare le decisioni della macchina sarà avvantaggiato sul mercato», spiega il ricercatore Luca Perrig che ha studiato il fenomeno (vedi box), concludendo che i sindacati devono attivarsi sui diritti digitali. Davanti a stravolgimenti così veloci, la scuola deve essere flessibile per evitare di insegnare mestieri sulla via del tramonto e formare futuri disoccupati.
I ruoli in più rapida crescita sono spinti da tecnologia e digitalizzazione. Big data, Intelligenza artificiale e sicurezza informatica sono al primo posto tra le tecnologie destinate a creare posti di lavoro. C’è molta hi-tech nelle nuove figure professionali. Quale tipo di società stiamo costruendo lo abbiamo chiesto a chi osserva i cambiamenti sociologici del mercato. Un esperto in materia è il professor Patrik Aspers, saggista e professore di sociologia all’Università di San Gallo: «È sempre opportuno leggere i fenomeni in chiave storica: un tempo si lavorava da casa, poi l’industrializzazione ha favorito l’attività organizzata in fabbrica. Ora il trend moderno, favorito anche dall’evoluzione tecnologica, è quello di tornare, in parte, a forme più individualizzate di ‘homework’». Per l’esperto nulla di davvero nuovo dunque. «C’è una certa tendenza a drammatizzare i cambiamenti (tra chi sostiene ‘Tutto cambierà’ e chi sostiene ‘Nulla cambierà’) ma in realtà non sono mai transizioni nette, veloci e radicali. I cambiamenti sociali sono lenti, forme diverse di lavoro convivono parallelamente. Ora anche con tipologie moderne di lavoro delegate all’Intelligenza artificiale». Il timore diffuso è comunque quello di doversi aggiornare, formare, riqualificare in un mercato dove le macchine stanno sostituendo diverse professioni. «L’Intelligenza artificiale può rimpiazzare lavoratori quando ci sono grandi numeri da processare e attività semplici e di routine da automatizzare. Ad esempio il settore bancario ha ridotto tanti impiegati. Quando invece si tratta di decisioni strategiche, la macchina potrà essere di appoggio, uno tra tanti strumenti, ma non sostituisce l’essere umano. Sul mercato ci sono fluttuazioni: occupazioni che tramontano e altre che rimangono stabili. Ad esempio il panettiere, è poco probabile che venga completamente sostituito da un robot».
La formazione dei lavoratori all’uso dell’Ia sarà la priorità di numerose aziende, dopo il pensiero analitico e creativo. La formazione è al passo con le nuove sfide? «Le aziende vogliono lavoratori sempre pronti e aggiornati. Di fatto chi termina una formazione superiore o accademica continua a imparare sul lavoro. È sempre stato così». Ma ora c’è una nuova variabile: l’Intelligenza artificiale. «Non direi un cambiamento fondamentale, piuttosto una transizione. I miei allievi possono utilizzare ad esempio ChatGPT. Il punto è come e per quale motivo usarlo. Vent’anni fa, si tematizzava Wikipedia».
Quindi il ruolo della scuola è insegnare a riflettere: «Esatto, riflettere su come usare strumenti a disposizione che siano libri, la rete, l’Intelligenza artificiale. La scuola, dall’asilo all’università, aiuta a strutturare pedagogicamente il processo di apprendimento. Qui l’Intelligenza artificiale non è di aiuto», conclude il sociologo.
Quando il capo è un algoritmo. Un piccolo esercito di lavoratori si muove ogni giorno sulla base delle indicazioni ricevute sullo smartphone. E definite, appunto, da un algoritmo. Dagli autisti di Uber ai fattorini che in bicicletta consegnano i pasti. Il ricercatore Luca Perrig dell’Istituto di sociologia di Ginevra ha studiato sei piattaforme cittadine per capire l’impatto sul lavoratore, quando è una macchina a decidere, a distribuire le consegne. Un sistema forse più efficiente ma molto disumano per chi ci lavora.
Avere a che fare con un algoritmo è una nuova sfida tecnologica per molti lavoratori che si sforzano di scoprire come pensa il loro capo-macchina a cui non hanno accesso. Ad esempio i corrieri di Ginevra non sanno quali dati alimentano le decisioni dall’algoritmo. «Più consegne significano più soldi, quindi ogni corriere vuole più lavoro. Per averlo deve capire quali criteri usa la macchina per distribuirlo. Alcuni credono che l’algoritmo sia sensibile alla velocità, di conseguenza pedalano più velocemente, mettendosi anche in pericolo; altri pensano sia importante il feedback del cliente, allora sono più sorridenti; altri ancora credono che è svantaggiato chi rifiuta delle corse e accettano tutto». Non ci sono certezze, solo supposizioni e una credenza comune: «Chi sa anticipare le decisioni della macchina sarà avvantaggiato», spiega Perrig.
Possono esserci decine di fattori che la macchina valuta, di fatto, nemmeno gli ingegneri che le hanno progettate sanno anticipare che cosa deciderà. «In una società che delega sempre di più il giudizio a una macchina, la nuova sfida per molti lavoratori è saper anticipare l’algoritmo per posizionarsi al meglio sul mercato», precisa. Dopo aver raccolto le testimonianze di molti corrieri, il sociologo conclude che lavorano in condizioni davvero faticose: «Quando è una macchina a decidere manca trasparenza, non c’è alcuna negoziazione, viene tolto potere al lavoratore. Anche per i sindacati sono nuove sfide, ora devono attivarsi non solo in base al diritto del lavoro, ma anche affrontare i diritti digitali», conclude il ricercatore.
Gli investimenti nella transizione verde, nella mitigazione dei cambiamenti climatici – il rischio siccità toglie il sonno anche in Ticino –, stanno guidando la trasformazione dell’industria e indirizzando le politiche ambientali a livello federale, cantonale e comunale. Una serie di profili del settore verde cresceranno. Saranno molto richiesti ad esempio gli ingegneri ambientali. I due politecnici federali ne formano un centinaio l’anno. Ma non sono abbastanza. Eppure pochi sanno che cosa fa un ingegnere ambientale. «Oltre a riconoscere, analizzare e monitorare i problemi ambientali, formiamo gli studenti a trovare soluzioni, a costruire modelli matematici che simulano possibili scenari di risposta. Formiamo una cinquantina di nuovi ingegneri ambientali l’anno, tutti trovano subito un impiego, molti già qualche mese prima di terminare gli studi. Il mercato ne richiede di più, si dovrebbe e potrebbe formarne di più», ci spiega il prof. Paolo Burlando. Dirige il Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e geomatica del Politecnico federale di Zurigo, dove insegna idrologia e gestione delle risorse idriche.
Dalla loro cassetta degli attrezzi, usando competenze, modelli e ingegno, questi ingegneri trovano soluzioni ambientali che ci toccano tutti nel quotidiano. Come ripulire l’acqua potabile da tracce di farmaci, come avere acqua nelle dighe ma non toglierla ai fiumi.
Tutti sappiamo quanto l’acqua sia vitale e per nulla scontata. Quando è troppa e devasta tutto al suo passaggio; quando manca e manda a ramengo le coltivazioni. Ebbene, nei laboratori di ricerca diretti dal prof. Burlando all’Eth l’oro blu è al centro. Si stanno ad esempio studiando possibili soluzioni per mitigare le tensioni, accentuate dal rischio di penuria energetica, tra chi vuole mantenere più possibile l’acqua nelle dighe per produrre elettricità e chi invece difende la sopravvivenza degli ecosistemi acquatici dei fiumi, sempre più spesso depauperati d’acqua. «Grazie a modelli matematici stiamo cercando soluzioni di compromesso senza penalizzare la produzione di elettricità, che consentano di preservare gli ambienti acquatici di valle». Altro tema, la depurazione delle acque: «Stiamo studiando come ripulire l’acqua da microinquinanti (come residui di prodotti farmaceutici) che non vengono smaltiti dagli impianti di depurazione ma che danneggiano l’ambiente». E ancora: «Stiamo affinando tecnologie per recuperare risorse da acque reflue, ad esempio nutrienti da usare in agricoltura, come fosforo e azoto».
Cambiamento climatico e inquinamento ambientale sono i due ‘demoni’ da contrastare e le sfide – da locali a globali – sono tante. «Anche in Svizzera si inizia a temere la siccità; piene fluviali e instabilità dei pendii sono realtà ben note. Occorre gestire al meglio la disponibilità di risorse idriche, proteggere il territorio dai rischi connessi all’incremento di eventi estremi atteso con gli effetti del cambiamento climatico. Il nostro compito è trovare soluzioni appropriate per ogni settore della società sia per mitigare gli impatti e sia per adattarsi».
Il nostro modello di sviluppo ha inquinato e continua a inquinare aria, acqua e terreni. «Studiamo soluzioni sia per mitigare i danni provocati, per risanare le risorse, ma anche per sviluppare tecnologie meno inquinanti, più sostenibili e capaci di ridurre il consumo di risorse favorendo un’economia circolare. L’obiettivo è non consumare più risorse di quelle che possono essere rinnovate dalla natura», conclude il professore.