È bello vedere l’ondata di solidarietà verso il popolo ucraino: le persone hanno donato milioni, hanno aperto le loro case per accogliere i rifugiati. Dalla ricca Svizzera, oasi (ancora) felice in mezzo al caos, in fondo, il minimo che ci si poteva aspettare.
Ugualmente mi domando cos’è davvero la solidarietà? Non è condividere quello che si ha, dare un po’ di sé stessi, rinunciando a qualcosa? Non mi si fraintenda, non voglio sminuire le tante iniziative lodevoli messe in atto con il cuore. Però, che "sforzo" è dare qualcosa se, con o senza, non ci cambia nulla? Perché allora, in nome della solidarietà, non diminuire un po’ i nostri consumi energetici? Infatti, come si può credere di essere solidali, se dando aiuti con una mano, con l’altra l’Europa sborsa 1’000 milioni giornalieri a Putin per carbone, gas e petrolio?
Quindi, aspettando che i governi si muovano, abbassiamo un paio di gradi il riscaldamento, pensando a quelle famiglie bloccate al freddo; lasciamo l’auto in garage al weekend, per scoprire a piedi o in bici le piccole meraviglie che si nascondono dietro l’angolo di casa, pensando che non siamo rintanati in un rifugio senza né acqua né cibo, al suono di bombe, spari e sirene; scegliamo i trasporti pubblici per andare al lavoro, pensando che noi uno ce l’abbiamo ancora.
Forse sarò ingenua, sarà anche poca cosa, però sarebbe già un piccolo gesto, un piccolo passo, che potrebbe diventare un insieme di tanti piccoli passi, che possono fare la differenza (in fondo tante piccole gocce formano gli oceani).
Nel frattempo, là si continua con distruzione, barbarie e morte, mentre qui continuiamo con la nostra vita normale. E mi domando se c’è ancora qualcuno che comprende questo proverbio persiano: "Mi lamentavo di non avere scarpe, finché vidi un uomo senza piedi".