L’argomento era già stato sollevato un mese fa dalla Regione, ma leggendo le due pagine che La Domenica dell’8 dicembre dedica al mercato dell’alloggio e, in particolare, le considerazioni dell’esperto Edoardo Slerca, mi sono chiesto se non ci sia un ritorno al passato.
“Negli anni 80 il Ticino divenne terra di speculazione per molti investitori d’Oltralpe. Lacune fiscali permettevano la vendita di uno stesso fondo più volte in poco tempo, con lauti profitti. I prezzi dei beni immobiliari crescevano fortemente. Le cosiddette “disdette-vendita” portarono alla “ristrutturazione” di molti stabili, gonfiando ulteriormente la domanda nel settore delle costruzioni e mettendo inoltre in difficoltà non poche famiglie, attanagliate dal dilemma tra “comperare o lasciare l’abitazione”.
La tensione sul mercato immobiliare fu tale da indurre il Consiglio federale a emanare, nel 1989, una serie di decreti urgenti* volti a frenare la domanda e combattere la speculazione. Il mercato crollò bruscamente e il valore delle compravendite si dimezzò nell’arco di un anno. Famiglie e imprenditori si trovarono nell’impossibilità di pagare dei tassi di interesse così elevati. Le banche si videro obbligate ad acquistare sottoprezzo gli immobili dei loro creditori, messi all’asta, evitando così il tracollo completo del mercato; persero svariati milioni e si ritrovarono a dover gestire un parco immobili consistente, senza averne le competenze. Gli imprenditori che riuscirono a sopravvivere, dovettero comunque portare a termine i lavori iniziati, riversando sul mercato numerose abitazioni e superfici industriali e commerciali, oramai non più richieste. Lo sfitto aumentò considerevolmente.” (1)
La situazione attuale, descritta nel domenicale, sembrerebbe ricalcare la stessa dinamica vissuta negli anni ’80. I grandi investitori istituzionali stanno ringiovanendo il loro parco immobiliare in Ticino e alienando gli immobili più vetusti. Si tratta di immobili costruiti negli anni ’60-’80. I grossi investitori, che in genere hanno sede oltre Gottardo, dovrebbero affrontare spese consistenti per la ristrutturazione e preferiscono venderli anche a prezzi molto bassi. A rilevare questi fondi sono operatori nuovi, che devono sottostare a meno regole, dice Slerca, e spesso li rivendono immediatamente. Oppure investono nel rinnovamento e li trasformano in proprietà per piani, mettendo gli inquilini di fronte all’alternativa di comperare o trasferirsi altrove, innescando la dinamica delle disdette-vendita degli anni 80, con tutte le eventuali conseguenze, non da ultimo un probabile aumento dello sfitto.
L’attuale situazione potrebbe costituire per i Comuni un’ottima opportunità per investire in abitazioni a pigione moderata o in cooperative di pubblica utilità. Probabilmente le tensioni legate al pareggio di bilancio non permettono visioni a medio/lungo termine. Peccato.