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‘Un sistema perverso. Zavorra l’economia e fa fuggire i giovani’

Il professor Sergio Rossi analizza cause ed effetti delle tendenze demografiche in corso in Ticino descritte dall’ex direttore dell’Ustat Elio Venturelli

In sintesi:
  • ‘Per coloro che decidono di mettere al mondo dei figli in Canton Ticino provvedere al loro accudimento, all’istruzione e in generale alla loro crescita si rivela finanziariamente più difficoltoso che altrove in Svizzera’
  • ‘L’innovazione è importante per la crescita e lo sviluppo anche socioeconomico, ma non è il fattore preponderante per permettere a tutti di avere un’attività remunerata correttamente e di vivere degnamente dove desiderano’
(Keystone)
5 settembre 2024
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«Il fatto che la popolazione in Ticino sia cresciuta meno rispetto alla media svizzera significa che il nostro cantone è meno attrattivo e che vi nascono meno bambini, non certo perché il tasso di fecondità sia inferiore, ma perché ci sono preoccupanti problemi economici e occupazionali che spesso interferiscono col desiderio di costruire una famiglia». Restituisce un’immagine poco rassicurante l’analisi dell’economista e professore ordinario all’Università di Friborgo Sergio Rossi relativa agli ultimi dati demografici pubblicati dall’Ufficio di statistica del Canton Ticino (Ustat). Innanzitutto – come spiega Elio Venturelli, che dell’Ufficio è stato direttore per 30 anni e che partendo dalla recente pubblicazione stila un quadro descrittivo – i dati mostrano che alla fine dello scorso anno la popolazione del Ticino ammontava a 357’720 unità, registrando un aumento dell’1,0% rispetto al 2022, aumento inferiore a quello nazionale che è stato del 1,7%. In entrambi i casi, evidenzia Venturelli, l’elemento determinante della crescita è stato la popolazione straniera con un incremento del 5,3% a livello svizzero e del 4,5% in Ticino. Altro dato che l’ex direttore dell’Ustat mette in luce e che corrobora le valutazioni di Rossi è il fatto che lo scorso anno la popolazione svizzera (grafico 1) è diminuita di 803 unità, malgrado l’apporto di 837 naturalizzazioni: il saldo naturale continua, come da molti anni a questa parte, a essere fortemente negativo (-1’086 unità), conseguenza di una natalità in effetti molto bassa e di una forte mortalità data dai baby boom. Una situazione nota da tempo.


Dati Ustat, elaborazione Elio Venturelli

«Per coloro che decidono di mettere al mondo dei figli in Canton Ticino – riprende Rossi – provvedere al loro accudimento, all’istruzione e in generale alla loro crescita si rivela finanziariamente più difficoltoso che altrove in Svizzera perché gli stipendi sono parecchio più bassi. Sempre rispetto ad altri cantoni, per un giovane è anche più difficile trovare un’occupazione con un contratto a durata indeterminata. E così chi non è soddisfatto del tenore di vita e delle prospettive offerte alle nostre latitudini, se può, spesso decide di trasferirsi in altri cantoni o all’estero, tornando in Ticino solo per le vacanze, per qualche compleanno o festa importante, oppure per un lutto in famiglia», considera amaramente l’economista. Come attesta il grafico 2 elaborato da Venturelli sul saldo migratorio secondo l’età e l’origine, infatti, perdura anche nel 2023 la cosiddetta “fuga dei cervelli” dei giovani svizzeri (20-39 anni, e anche 40-64 anni). Ma quali sono le conseguenze a livello socioeconomico di questo scenario?

‘Invecchiamento e frenesia edilizia creano una sovraofferta immobiliare rischiosa’

«In primo luogo – risponde Rossi – quei giovani che vanno fuori dai confini cantonali o nazionali non contribuiranno più alla crescita dell’economia locale, con relativo impatto sul commercio al dettaglio, la ristorazione, l’industria del divertimento, la cultura in generale e molti altri ambiti. D’altro lato questa fuga porta a un più alto tasso di persone anziane e a un conseguente aumento delle spese sanitarie perché di solito più la popolazione è in là con gli anni più ha bisogno di cure. Questo oltretutto incide anche sui costi della salute e sulla dinamica di chi fa impresa che si volge di preferenza verso servizi alla popolazione anziana – quindi nel campo delle cure sanitarie, in quello delle case per anziani e così via – e meno verso i giovani». Questa tendenza all’invecchiamento ha poi anche un impatto sul mercato immobiliare: «La popolazione anziana di solito non acquista una nuova casa, non trasloca da un appartamento all’altro e talvolta si trasferisce in una casa di riposo. Al contempo continuano a sorgere gru a destra e a sinistra perché le casse pensione e le assicurazioni vanno avanti a investire nell’immobiliare dato che sui mercati finanziari non ci sono più i rendimenti di un tempo, o se ci sono sono più rischiosi di una volta. Così si crea una sovraofferta immobiliare con il rischio che prima o poi i prezzi crollino, esponendo le banche e non solo i debitori ipotecari alla difficoltà di ripagare i propri debiti».

‘Molti pseudoimprenditori sfruttano il bacino di frontalieri per abbassare i salari’

Lo sconfortante primato dei salari più bassi del Paese, come risaputo, è strettamente legato alla dinamica del frontalierato. Il problema, dice Rossi, «è che gran parte dei lavoratori che arrivano giornalmente dall’Italia non sono complementari ma in concorrenza con i residenti che vorrebbero lavorare, diversamente dal Canton Ginevra e dal Canton Basilea. È certamente legittimo candidarsi per impieghi meglio retribuiti che oltreconfine. Per contro a non essere corretto è l’atteggiamento degli imprenditori o pseudo tali che assumono personale frontaliero per pagarlo meno e per imprimere una pressione al ribasso sugli stipendi». Per Rossi prima di creare un’impresa ci si dovrebbe chiedere se si hanno le capacità e le competenze per pagare dei salari che permettano di vivere degnamente sul territorio in cui la si desidera insediare. «Purtroppo però c’è chi non è in grado di garantirlo eppure non si ferma in quanto sa di riuscire a trarne profitto potendo contare su un grande bacino di manodopera frontaliera a basso costo nonché su una forte disoccupazione in Ticino che non è tutta espressa dalle statistiche ufficiali. C’è infatti chi lavora a una percentuale ridotta ma vorrebbe aumentarla – esemplifica l’economista –, chi entra ed esce dal mercato del lavoro perché svolge degli stage o ha contratti di breve durata. Si tratta di una disoccupazione nascosta, che sfugge ai resoconti, ma che è conosciuta a chi fa impresa e sa che ci sono molte persone disposte a lavorare anche a costo di fare sacrifici pure in busta paga. Poi però deve intervenire l’aiuto sociale, che è a carico di tutti i contribuenti. Questo crea un sistema perverso che è una zavorra per l’economia e la società ticinese nel suo insieme». Anche perché d’altra parte le buste paga leggere si traducono in minori entrate fiscali: «Dunque – osserva Rossi – anche le casse pubbliche ticinesi avranno più difficoltà a finanziare la spesa dello Stato, ragion per cui si arriva ai famosi tagli con il macete». Stato che, ricorda il professore, «oltre a essere un importante datore di lavoro ed erogatore di servizi, è anche un importante attore economico tramite la cui spesa molte imprese in Canton Ticino fanno dei profitti, come quelle nel settore delle infrastrutture stradali».

‘La migrazione si conferma il motore demografico cantonale’

Tornando ai dati Ustat, nel 2023 – rileva Venturelli – la popolazione straniera, con un saldo complessivo di 4’500 unità, ha registrato un saldo migratorio eccezionale (5’597 unità), come non succedeva da molti anni, confermandosi il motore della realtà cantonale. E questo mettendo nel dimenticatoio l’inverno demografico paventato anni fa da taluni, legato prevalentemente alla pandemia. L’immigrazione sembrerebbe seguire il ciclo economico in modo evidente. Se però si scompone il saldo migratorio secondo il Paese di provenienza, precisa Venturelli, il quadro si fa più complesso (grafico 3). La componente italiana, da sempre predominante nel saldo complessivo cantonale, ha ancora giocato un ruolo importante nel 2023, con un apporto di 2’097 unità. Rispetto al saldo totale questo apporto non rappresenta però che il 42%. È invece l’apporto dell’Ucraina, il cui saldo era di poche unità fino al 2022, a rivelarsi il flusso dominante con un saldo di 2’149 unità, pari al 43% di quello totale. Come detto il saldo complessivo degli stranieri è di 5’597 unità, di cui 2’269 nella fascia 20-39 anni. Il grafico 2 mette però anche in evidenza l’aumento della classe di età 0-19 anni, molto probabilmente legato all’afflusso di famiglie dall’Ucraina.


Dati Ustat, elaborazione Elio Venturelli

L’incremento della migrazione nei termini appena descritti porta Rossi a due riflessioni. «Se ci sono persone in età lavorativa come i cittadini italiani che si installano nel cantone e trovano un impiego si tratta di un fattore positivo che può compensare almeno in parte gli effetti delle partenze in termini di nascite, finanziamento delle casse dell’Avs e dei costi della salute, e via discorrendo». Per quanto riguarda invece le persone provenienti dall’Ucraina il discorso è più ostico: «Molti residenti, quando è scoppiata la guerra, erano disposti ad accogliere le persone ucraine in fuga, ma poi col passare dei mesi e degli anni c’è stato un cambio di passo. Ora si insiste sul fatto che se vogliono restare devono integrarsi nel mercato del lavoro ma senza occupare dei posti che potrebbero andare ai ticinesi. È vero che in certi settori c’è una carenza di manodopera qualificata in Ticino, ma non c’è sempre convergenza tra i profili richiesti dalle imprese e quelli che queste persone ucraine possono offrire come lavoratrici e lavoratori. E quando c’è, come può essere il caso della ristorazione e delle cure sanitarie, talvolta l’ostacolo è dato dalla lingua».

‘Disincentivare fiscalmente gli ampi divari salariali all’interno delle imprese’

La grande domanda è allora come si può invertire rotta per riorientare l’economia cantonale? Per Rossi non è solo insistendo sul fatto che bisogna innovare i processi di produzione e produrre anche nuovi beni e servizi, come recita una sorta di mantra del Dipartimento finanze ed economia: «L’innovazione è importante per la crescita e lo sviluppo anche socioeconomico, ma non è il fattore preponderante per permettere a tutti i giovani e ai meno giovani di avere un’attività remunerata correttamente e di vivere degnamente dove desiderano». Secondo l’economista è invece necessario «stimolare le grandi imprese – ma anche quelle piccole e medie che le seguono a ruota per essere competitive – a ridurre il divario salariale tra i manager e i collaboratori meno qualificati. Questo può essere fatto ad esempio agendo fiscalmente in modo differenziato sugli utili delle imprese: quelle che versano degli stipendi corretti ai lavoratori meno qualificati e non ne danno di esagerati a chi sta in cima alla scala salariale, potranno pagare meno imposte sugli utili. Quelle che invece sfruttano i lavoratori versando loro stipendi infami mentre ai manager ne danno di stravaganti, si vedranno aumentare il carico fiscale. Ciò potrebbe essere applicato anche per le imprese che assumono lavoratori frontalieri quando ce ne sono di abbastanza qualificati in Ticino». Insomma: incentivi positivi per chi ha un comportamento virtuoso e negativi per chi ne ha uno vizioso che danneggia il sistema economico.

Secondo Rossi, se davvero si vuole riorientare il sistema economico ticinese, «non si può lasciar fare al libero mercato perché come vediamo da 40 anni ormai questo crea disoccupazione involontaria, instabilità, crisi finanziarie, guerre. L’economia non può essere lasciata a sé stessa ma va inquadrata da uno Stato forte e autorevole. Bisogna che lo Stato intervenga e lo strumento della fiscalità è molto efficace perché lo si può calibrare in base al tipo di impresa, al tipo di manodopera (giovani, meno giovani, residenti, frontalieri), al tipo di attività economica (industria, agricoltura, settore finanziario, eccetera). Poi chiaramente bisogna verificare i dati, controllare, sanzionare se necessario. Ma visto che il compito dello Stato non è solo quello di incassare le imposte e proteggere la proprietà privata, bensì pure di intervenire per sistemare i problemi, è fondamentale che lo faccia. Chiaramente aumenterebbe la burocrazia – ammette Rossi –, ma oggi grazie all’informatica possiamo raccogliere i dati senza andare fisicamente con un ispettore negli uffici delle imprese per controllare chi è stato assunto e con quali stipendi. La cosiddetta rivoluzione digitale permette di ridurre anche i costi dei controlli che lo Stato dovrebbe operare per imprimere una svolta necessaria» dice Rossi. «Quella verso un’economia più sostenibile che persegua il bene comune».

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