Se c’è una cosa che ho sempre trovato disdicevole è la tendenza degli ultimi 30 anni, nel Bel Paese, di andare a sfoltire sempre scuola e istruzione. Tutto sommato è facile sparare a zero sulla scuola: “I professori sono privilegiati; fanno 3 mesi di vacanza; sono impreparati; non servono a nulla”. Salvo poi rendersi conto che i nostri figli passano il 60 per cento della loro giornata proprio a scuola...
Anche qui in Ticino stiamo percorrendo questo sentiero desolante. La nostra attuale classe dirigente sta dimostrando da più di vent’anni di non essere assolutamente all’altezza del proprio ruolo, ma continua a dare la colpa ad altri dei propri fallimenti. Noi cittadini non andiamo a votare, ma continuiamo a lamentarci senza trovare il coraggio di sostenere alternative: il senso critico e l’analisi non ci competono più e lo dimostra un astensionismo ormai intorno al 40%.
Il risultato è quello di trovarci tutti i santissimi anni a parlare di aumento della cassa malati – oramai è diventato un argomento della nostra tradizione natalizia, come scegliere il pandoro – della crisi, degli ennesimi tagli. Anche quest’anno si prospettano nuovi tagli da Preventivo 2025. Indoviniamo chi viene colpito dai tagli? Miliardari? Banchieri? No: anche quest’anno viene colpita la scuola e, direttamente noi uomini medi, i nostri figli, la nostra cultura. In particolare verranno ridotte le spese per attività didattiche e culturali, così come per i docenti di educazione fisica e di educazione musicale.
Che segnale è quello di uno Stato che ritiene la cultura una spesa superflua? Uno Stato che non comprende che la conoscenza, l’arte, la musica, lo sport, sono i mezzi che abbiamo per farci trovare preparati di fronte alle sfide della vita? Stiamo modellando una scuola fatta per crescere soldatini programmati per imparare un mestiere, capaci di fare calcoli matematici in pochi secondi, ma che perde del tutto di vista la necessità di educare all’empatia, alla solidarietà, alla bellezza dell’arte e della musica, all’inclusione.
Ma come, ci riempiamo la bocca di disagio giovanile, di interventi a domicilio, di “intercettare i giovani”: onestamente, a questo punto, certe dichiarazioni suscitano una certa ilarità. Stiamo parlando di ricoveri di adolescenti in psichiatria raddoppiati in 6 anni! Stiamo parlando di un disagio che riguarda bambini sempre più giovani. I nostri figli soffrono di depressioni già alle scuole elementari, sono sempre più abbandonati a sé stessi. Le cifre sono allarmanti e meritano interventi veri, non chiacchiere.
Ben vengano momenti di riflessione e discussione come si è fatto il 10 ottobre a Lugano nella giornata mondiale della salute mentale, in cui si è parlato, appunto, di una scuola come luogo inclusivo e di prevenzione del disagio. Forse è giunto il momento di comprendere che la prevenzione inizia a scuola, forse ancor più che in famiglia e ritengo che inizi, prima di tutto, proprio nella formazione dei docenti che rischiano di assumere un mero ruolo di “ragioneria” – che consiste nel prendere atto della bravura degli studenti senza poter far molto altro – ma che dovrebbero essere messi in condizione di aiutare i giovani studenti, di accoglierli, di sostenerli nei momenti di difficoltà, di farli crescere, di spronarli a dare il massimo, di credere in loro. Una scuola che si riduce a “selezione” del personale è una scuola che ha già fallito in partenza. La scuola merita investimenti, risorse, idee, non ennesimi tagli.