Il Soccorso d'inverno Ticino organizza una giornata di riflessione su un tema ‘che non è solo economico, ma pure sociale e medico. Il fenomeno si allarga’
Combattere una povertà che sempre più spesso si fa invisibile, sfugge alle statistiche e agli sguardi ma che colpisce. Fa male. E incide su fattori non solo economici, ma anche sociali e demografici. Per finire a quelli medici, perché la povertà porta anche ad ammalarsi. Sensibilizzare è l'obiettivo di Soccorso d'inverno Ticino (Sit) e questo era l'obiettivo della giornata di riflessione promossa oggi a Lugano, dove è stata offerta una panoramica più che completa di un fenomeno che si sta allargando senza clamore ma con una continuità che comincia a farsi preoccupante.
Quello della povertà, esordisce la direttrice del Sit Paola Eicher, «è un fenomeno complesso che non si può ridurre solo ad aspetti finanziari ma coinvolge anche tutto ciò che riguarda la socialità». Partendo da un assunto, tema di tutta la giornata: «La povertà può far ammalare le persone». In un contesto dove, continua Eicher, «sempre più persone soffrono l'aumento dei costi sanitari e dei premi di cassa malati, spese che assieme a quelli dell'assistenza sanitaria sono la principale preoccupazione degli svizzeri in tutti i segmenti di età e tutte le zone del Paese». Una situazione molto difficile che «non cambierà a breve, le persone faticano sempre più a pagare i premi e questo si riflette sulle casse pubbliche. Sia a livello di spesa per i sussidi, sia a livello di rimborso alle casse malati di premi non pagati: l'anno scorso, a livello nazionale, sono stati 315 milioni».
Eicher porta anche un esempio concreto che Soccorso d'inverno Ticino ha preso recentemente a carico. Una storia di quelle che fa male a sentire e leggere, ma che purtroppo è una tra tante. La storia di una famiglia composta da padre, madre e due figli dove il padre all'improvviso viene licenziato. «Le difficoltà economiche aumentano, l'uomo cade in depressione. Per sostenere la famiglia chiede l'Avs anticipata, per risparmiare aumenta la franchigia dei figli. La moglie si ammala di cancro morendo poche settimane dopo». Il tutto porta, inutile a dirsi, «a una sofferenza devastante e per i figli momenti di evidente difficoltà psicologica, e bisogno di supporto per superare il lutto. Noi siamo intervenuti prendendoci a carico i costi per la salute dei figli garantendo che possano ricevere l'aiuto di cui hanno bisogno». Una storia che prova, qualora ce ne fosse bisogno, «di come la povertà può anche essere causa oltre che conseguenza di una malattia, con tutta la spirale di sofferenza che provoca. E la collaborazione tra enti è fondamentale per dare speranza alle persone».
La povertà, le fa eco il direttore del Dipartimento sanità e socialità Raffaele De Rosa, «è un fenomeno complesso, che non si limita alla mancanza di risorse economiche o materiali, ma coinvolge anche il benessere fisico, mentale, sociale delle persone». In altre parole, «sono tutti ambiti strettamente legati». E si tratta di «famiglie che faticano a far fronte alle spese quotidiane, persone sole, anziani con pensioni insufficienti. Sono realtà che purtroppo conosciamo anche in Ticino – insiste De Rosa – e richiedono una risposta collettiva, perché le condizioni di povertà limitano l'accesso alle cure e portano all'aumento di rischio di contrarre patologie croniche, maggior esposizione allo stress, altri problemi legati alla salute mentale». Non solo, perché «gli studi mostrano come le persone precarie abbiano anche un'aspettativa di vita inferiore: il sistema sanitario cantonale si impegna a garantire l'accesso alle cure a tutti, ma resta fondamentale ribadire che la salute non è una questione solo medica ma anche sociale».
Questo perché, riprende il direttore del Dss, «le cause strutturali che portano alla povertà spesso passano inosservate. Non ci si rende conto di quanto ci sia una povertà davvero invisibile, che è la più diffusa: chi è in condizioni di difficoltà, a volte per vergogna, non si annuncia a enti o sportelli. Ci sono numerose possibilità di aiuto e sostegno, non bisogna aver vergogna a chiedere aiuto». Perché, mai ribadito abbastanza, «la salute è una questione sociale, e affrontandone le cause strutturali con prevenzione, sensibilizzazione e approccio integrato e coordinato potremo davvero essere inclusivi». Il tasto dolente, per De Rosa, è proprio nella questione della prevenzione. Già, perché «persone che si trovano in difficoltà economica spesso non riescono a ritenere prioritaria la prevenzione rispetto a necessità immediate come il pagamento delle bollette o altre emergenze. Controlli medici regolari, screening, vaccinazioni diventano costi evitabili o rimandabili ma tutto questo invece può portare a diagnosi tardive di patologie gravi. Per questo – afferma ancora De Rosa – è essenziale rinforzare le politiche per un accesso equo alla prevenzione e promuovere una cultura della salute che metta al centro proprio la prevenzione, solo così potremmo ridurre l'incidenza di malattie evitabili e costi futuri di ogni tipo».
Ed è a testa bassa l'entrata in materia della direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport Marina Carobbio che sgombra, appunto, subito il campo: «Assistiamo sempre più a una notevole erosione del reddito, l'aumento del costo della vita si tocca con mano, l'aumento dei premi di cassa malati ha raggiunto dei livelli non più sopportabili». Con questa situazione, Carobbio rivendica di essersi confrontata prima nella sua carriera di medico, poi a Berna, sia al Consiglio nazionale sia al Consiglio degli Stati, e ora sedendo nel governo ticinese. Negli anni il nemico si è fatto sempre più roccioso, e per Carobbio «il sistema dimostra di non funzionare più, perché i premi aumentano ma crescono molto anche i costi sanitari assunti direttamente dai cittadini... costi per la franchigia, partecipazione alle spese mediche, senza dimenticare tutte le spese non coperte dalle assicurazioni come medicamenti non ammessi o medicazioni non pagate dall'assicuratore. Nel confronto internazionale, in questa categoria, siamo ai primi posti». Per Carobbio, quindi, la via d'uscita è una sola: «Serve una cassa malati pubblica a livello federale con premi proporzionali al reddito, oltre a interventi mirati per frenare i costi. Altrimenti le persone meno abbienti continueranno a essere l'ultima ruota del carro, rinunciando a cure mediche o dentarie necessarie, quindi curarsi in modo peggiore e ammalarsi di più». Così, sottolinea ancora la direttrice del Decs, «crescono disuguaglianze e ingiustizie». Così, ancora una volta, «a subire saranno soprattutto i gruppi più vulnerabili della popolazione, anche i giovani e i bambini. Non ricevendo un sostegno adeguato, i figli di famiglie in assistenza vivono una continua restrizione nel partecipare a una vita sociale degna, ed è più difficile l'accesso al sostegno scolastico. Non va bene, è profondamente ingiusto». Tutto si somma e tutto si aggiunge in questo drammatico spaccato che vede protagoniste sempre più persone anche in Ticino, perché «la povertà è ereditaria – dice ancora Carobbio –, in un ambiente precario il rischio è che i giovani diventino adulti poveri. Il contesto vede una crescente povertà toccare bambini e minori, e qui un grande ruolo può e deve giocarlo la scuola».
Una scuola che, afferma orgogliosa Carobbio, «deve essere inclusiva, promuovere l'equità, offrire pari opportunità. Così come deve contribuire ad abbattere le disuguaglianze in favore di chi arriva da ceti più disagiati, ed evitare l'esclusione sociale di singoli bambini nel rispetto dei diritti e della società nel suo insieme». L'obiettivo «prioritario» del Decs è questo, e Carobbio ammette che «non mi stancherò mai di ripeterlo: nonostante le difficoltà economiche del Cantone e le misure di contenimento, bisogna investire nell'educazione e nella formazione, perché vuol dire investire nel futuro».
A preoccupare «molto» Carobbio è anche «il disagio giovanile crescente, e la scuola è l'ambito dove si esprime e manifesta maggiormente. E quindi la scuola deve rispondere». Non si parte da zero, «molti docenti lo stanno facendo, prendendosi a cuore la situazione dei bambini coinvolti». In più, mandando in soffitta per un po' il dipartimentalismo imperante, «Decs e Dss lavorano insieme a possibili misure, interventi precoci e mirati contro l'assenteismo, l'isolamento, l'ansia e i sintomi di vari problemi. I ragazzi portano sulle spalle le difficoltà delle famiglie, la precarietà cui sono confrontati, le pressioni sul lavoro e le patologie degli adulti. E affrontare il disagio giovanile significa decidere come collettività che futuro vogliamo».
Sempre nell'ambito scolastico, Carobbio si concentra anche sull'importanza delle borse di studio e gli aiuti allo studio: «Serve una riflessione sul loro ruolo, per comprendere se il livello raggiunto sia attuale e sufficiente, perché così si permette ai giovani di formarsi e accedere a percorsi formativi». Allo stesso modo, «il sostegno alla prima infanzia è inderogabile, sia a livello educativo sia con i servizi di conciliabilità famiglia-lavoro. Il Cantone ha investito molto per garantirne l'accesso a tutte le famiglie, ma il lavoro da fare è ancora molto».
Carobbio ingrana ancora la quarta quando afferma che «le società con uno Stato di diritto debole e istituzioni fragili ed economie selvagge non generano felicità a lungo termine, anzi, implodono. Non siamo a quel livello, ma il grado di deterioramento è in atto: una riflessione è urgente, le misure sono impellenti. Va garantito lo Stato sociale, rafforzandolo osservando i nuovi bisogni: i salariati precari, lavoratori non protetti dalla rete sociale classica, indipendenti che non riescono ad avere risorse adeguate pur lavorando». Un esempio è sul piatto, quello del campo culturale: «Ho incontrato centinaia di operatori nel settore della cultura, mi sono resa conto della necessità di salari dignitosi e maggior protezione sociale per chi ha un lavoro cosiddetto atipico. Frutto di questi scambi sono stati l'aver adottato, per la prima volta, le Linee programmatiche di politica culturale che mirano a un miglior riconoscimento del lavoro in questo settore. Una goccia, ma la dimostrazione che dei passi sono possibili».
Anche Marco Bazzi, responsabile delle relazioni pubbliche del Sit, spinge su questo tasto: «Scuola e cultura sono elementi fondanti. La cultura è partecipazione, crescita, educazione alla comprensione della realtà. La povertà, invece, è l'impossibilità di accedere alla cultura e alla formazione. La povertà non deve essere più un tema di questa o quella area ideologica, tutti i partiti devono occuparsene».
A snocciolare i numeri è Anna Suppa, ricercatrice di Soccorso d'inverno: «Le persone con basso reddito e basso livello di istruzione sono significativamente più colpite: l'aspettativa di vita è inferiore di cinque anni, le possibilità di sviluppare un cancro sono sei volte superiori. Persone istruite che fanno attività fisica sono il 20% in più, chi ha redditi più bassi consuma molto più tabacco sviluppando anche malattie collegate». Non solo: «Il 23,3% degli intervistati ha dichiarato di aver rinunciato a servizi sanitari come visite mediche, controlli e farmaci nei 12 mesi precedenti per motivi economici. Il 46,7% invece segnala almeno tre caratteristiche di svantaggio economico, considerando il reddito famigliare, i sussidi, il sentimento di sapere che i soldi a disposizione sono insufficienti per arrivare a fine mese».
Altri numeri li fornisce il responsabile del Centro di competenze lavoro, welfare e società della Supsi Spartaco Greppi: «In Svizzera il tasso di povertà è dell'8,2%, in Ticino del 12,8%. Il tasso di rischio di povertà vede il Ticino ancora di molto sopra la media, mentre la percentuale sulla deprivazione materiale e sociale è quasi del doppio. Dati che rendono visibili persone di solito invisibili». Quindi Greppi spiega che se «molto si sta facendo a livello federale», è a livello cantonale che si può fare di più. Come? «Con iniziative sul welfare, estendendo i programmi di supporto al reddito, migliorando l'accesso alla prevenzione e alle cure per chi è più vulnerabile, insistendo sulle politiche del lavoro e agendo sulle regolamentazioni per migliorare le condizioni».
Dopo una panoramica su quanto è attivo l'Ufficio dell'Assicurazione invalidità offerta da Monica Maestri, la conclusione della mattinata è affidata a Sandra Killer dell'Associazione famiglie monoparentali: «Una categoria sovrarappresentata, dal momento che un nucleo su tre è in povertà assoluta, le famiglie monoparentali sono molto più povere rispetto ad altre categorie ed è una povertà che dura molto più nel tempo. Spesso, si sa già che si diventerà anziani poveri. Con tutto quel che ne consegue».