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Riforma Lpp: tra complessità e disparità

Il secondo pilastro della previdenza vecchiaia in Svizzera, regolato dalla Legge federale sulla previdenza professionale (Lpp), è noto per la sua complessità, ulteriormente amplificata dalla proposta di riforma che sarà votata il 22 settembre. La frammentazione tra i vari istituti previdenziali, ognuno con regolamenti differenti, rende difficile per gli affiliati comprendere l’impatto delle modifiche legislative sulle loro prestazioni. È paradossale che, nonostante la rilevanza delle riforme, l’accesso a una comprensione chiara e completa del sistema sia ostacolato per coloro che non hanno una profonda conoscenza del settore.

La riforma in discussione cerca di applicare criteri uniformi a una realtà eterogenea, rischiando così di creare disparità tra gli assicurati. Uno degli aspetti più controversi è l’aumento dei contributi, accompagnato da una riduzione delle prestazioni. Mentre l’aumento dei contributi per l’Avs, in relazione alla tredicesima rendita, ha generato un acceso dibattito, un’analoga preoccupazione non sembra emergere nel contesto della Lpp, nonostante le sue possibili ripercussioni sul potere d’acquisto degli affiliati, già messo a dura prova dall’aumento dei costi della vita, inclusi i premi di assicurazione malattia.

L’approvazione della riforma non farebbe che intensificare il processo di finanziarizzazione della previdenza: la riduzione della copertura garantita dai primi due pilastri, ossia Avs/Ai e Previdenza professionale, potrebbe spingere molte persone a cercare soluzioni alternative, come la previdenza individuale del terzo pilastro. Tuttavia, tale opzione è accessibile principalmente a coloro che dispongono di risorse finanziarie sufficienti, esacerbando ulteriormente le disuguaglianze sociali.

Un tema spesso trascurato è la condizione dei lavoratori indipendenti, ancora esclusi dall’obbligo di adesione alla previdenza professionale. Attualmente, l’affiliazione a una cassa pensioni Lpp è facoltativa per gli indipendenti, e solo una minoranza (circa il 45%) decide di aderire, rispetto al 91% dei lavoratori salariati. Questa disparità crea significative differenze nelle prospettive pensionistiche, con gli indipendenti che, al momento del pensionamento, hanno minori possibilità di beneficiare delle prestazioni del secondo pilastro e del terzo pilastro vincolato. Spesso devono fare affidamento su altre fonti di reddito, come il proseguimento dell’attività lavorativa o il risparmio privato, se disponibile.

Una riforma della previdenza professionale dovrebbe avere come obiettivo primario garantire prestazioni dignitose per tutti i lavoratori. Estendere l’obbligatorietà del secondo pilastro agli indipendenti appare essenziale per evitare che essi si trovino a dipendere maggiormente dalle prestazioni complementari (Pc) rispetto ai salariati. Questa problematica è ulteriormente aggravata da carriere lavorative frammentate, redditi inferiori o dall’uso del capitale del secondo pilastro per avviare attività imprenditoriali, rendendo il futuro previdenziale di questi lavoratori ancora più incerto.

Oltre a una maggiore inclusione degli indipendenti, sarebbe necessario ripensare il ruolo degli istituti previdenziali, che pur affrontando sfide come il cambiamento demografico e la volatilità dei mercati finanziari, gestiscono capitali ingenti. Questi fondi potrebbero essere impiegati per riforme orientate alla riduzione delle disuguaglianze, evitando soluzioni che penalizzino gli assicurati. Inoltre, una riforma strutturale del primo pilastro (Avs/Ai) dovrebbe considerare una diversificazione delle fonti di finanziamento. Tra le opzioni, l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie merita particolare attenzione, poiché potrebbe offrire un contributo stabile e sostenibile al sistema previdenziale.

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