Quando il termine sopravvivenza esprime il concetto che investe la volontà umana di attendere alla riproduzione delle condizioni di esistenza, si osserva un uso e abuso di significati diversi. Noi viviamo sempre una sopravvivenza nel presente, cioè nella vita che si narra da sé nel suo svolgimento del prodursi e riprodursi in uno spazio-tempo breve. Nella congiuntura abituale la sopravvivenza è sempre breve, si bada solo alla propria vita, eventualmente più in là a quella dei figli. La pratica della vita quotidiana dovrebbe rispettare modi e misure, che vengano reiterate in un contesto collettivo. Perché questa pratica diventi effettiva, uno dei principi cardine è di essere attivi nel presente, ma non inteso come presente rimandato al domani o dopodomani. In altre parole, la politica che si deve concretizzare è un insieme di regole di produzione e consumo che rispettino l’ambiente in tutti i suoi aspetti, nonché una misura ponderata del ripopolamento della specie umana.
L’uomo, sovrastato dal cielo e inerme tra cielo e terra, ha escogitato quel fideismo di difesa volto a forze benevole più grandi di lui. Il realismo delle proprie capacità è cresciuto coi mezzi, i quali a un certo punto hanno perfino annichilito la potenza divina. Geologicamente parlando, siamo ora entrati nell’epoca dell’Antropocene, in cui gli scienziati ecologici studiano che la biosfera sta attraversando una estinzione di massa dei viventi, cioè una catastrofe su scala globale. Indicatore capitale della salute della biosfera è la biodiversità, che registra un calo immenso e sempre più accelerato: negli ultimi cinque secoli abbiamo soppresso circa un terzo di tutte le specie viventi; più di 350 specie di vertebrati terrestri si sono estinte dal Cinquecento a oggi e un terzo del totale è in via di estinzione (Telmo Pievani). La biodiversità, occorre ripeterlo, è un principio vitale della complessità organica del pianeta verde.
La questione è reale, del tutto nuova, contemporanea, ineliminabile e che non esonera nessuno. C’è chi pensa: perché salvare l’umanità? La scienza oggi sa molto del tempo lunghissimo e impercettibile che è passato da quando la prima cellula auto-replicantesi si è mossa. Sa anche che un tempo altrettanto disteso precede lo “sfondamento”, come lo chiamano i cosmologi, della nostra stella dopo che l’entropia avrà fatto il suo lavoro. Nondimeno sta anche a noi, esseri antropocentrici per inevitabile destino, attuare delle scelte. Il fisico teorico Carlo Rovelli pensa: “Apparteniamo a un genere di specie a vita breve. I nostri cugini si sono già tutti estinti. E noi facciamo danni. I cambiamenti climatici e ambientali che abbiamo innescato sono stati brutali e difficilmente ci risparmieranno” (…) “temo che presto dovremo diventare anche la specie che vedrà consapevolmente arrivare la propria fine, o quantomeno la fine della propria civiltà”.