Il lamento è stato lanciato dai direttori dei Licei e della Scuola cantonale di commercio nel mese di marzo, ma solo da qualche settimana ne abbiamo notizia. Tra le altre cose, inoltre, i direttori sottolineano – oltre a oneri amministrativi sempre più gravosi e risorse limitate – la difficoltà a promuovere quella che è la loro missione, ossia insegnare e preparare adeguatamente gli studenti al mondo universitario.
Non conosco bene questo settore scolastico, ma molti indizi mi portano a credere che le lamentele poc’anzi esposte siano giustificate. D’altronde, infatti, anche nella scuola dell’obbligo si registra questa tendenza, anzi a mio parere è ancora più accentuata. Ma la differenza è notevole: in quest’ultimo ordine di scuola tutti i nostri giovani vi partecipano e hanno perciò il diritto di essere seguiti e stimolati adeguatamente; nel settore medio-superiore, invece, convergono gli studenti che, per scelta, hanno competenze, motivazioni ed attitudini idonee. O almeno così dovrebbe essere.
Cosa può aver portato a questa situazione? Innanzitutto, a mio avviso, in Ticino troppi studenti scelgono una scuola superiore su pressione dei genitori e senza la necessaria convinzione; gli esiti non potranno che essere deludenti, non solo per l’allievo ma pure per il contesto scolastico. Secondariamente, occorre comunque evidenziare che chi sceglie una scuola del post-obbligo è (giustamente) confrontato con un percorso impegnativo, in cui ognuno deve dare il meglio di sé. Non sempre ciò avviene, e la colpa, naturalmente, è sempre degli altri. Guai a responsabilizzarsi. Ricordo che un mio professore al liceo, ormai un trentennio fa, nei momenti in cui eravamo poco impegnati e performanti, ci redarguiva perentoriamente: “Signore e signori, questa è una scuola post-obbligatoria, o vi impegnate e studiate oppure questa non è la vostra strada”. All’epoca reagivo un po’ stizzito a questa affermazione; col tempo, tuttavia, ho capito che l’invito del professore era pertinente ed è più che mai attuale, in un periodo in cui i diritti prevalgono sui doveri in molti ambiti, pure in quello scolastico. Un esempio recente? Lo studente che in giugno ha minacciato con una pistola, poi rivelatasi finta, una docente alla Commercio di Bellinzona ha diritto, come comunicato dal Decs, alla scolarizzazione; peccato che non sia stato ribadito che egli ha altresì il dovere, come tutti peraltro, di agire nel rispetto delle persone e delle cose, in un quadro normativo condiviso dalla comunità.
Ma un’altra causa della situazione preoccupante odierna è da ricercare nel mondo educativo più in generale. Oggi siamo portati a essere comprensivi all’inverosimile, a giustificare tanti comportamenti sbagliati, a essere ossessivamente inclusivi (quando invece occorrerebbe integrare gradualmente) e politicamente corretti, creando false illusioni, rifuggendo la realtà e lasciando che l’offerta crei la domanda. Oppure ancora ad ammorbidire ed ovattare la crescita dei giovani, togliendo loro le difficoltà e gli ostacoli che sono invece essenziali per forgiare gli anticorpi per affrontare la vita. In campo educativo, e l’ho denunciato più volte, sono troppo assenti valori come il sacrificio, l’allenamento allo sforzo, la capacità di reagire agli insuccessi; o l’essenzialità di appassionare ed appassionarsi, per sé e per gli altri, e la pure imprescindibile sete di apprendimento da coltivare giornalmente. Le conseguenze non possono che essere negative, con giovani che crescono nell’insicurezza, nella fragilità, spaesati e arrendevoli alla prima anche minima difficoltà. Ciò, tra le altre cose, crea poi la medicalizzazione della scuola e, aggiungo io, della vita.
È perciò essenziale agire da subito, con i più piccoli e con le dovute proporzioni e sensibilità evidentemente. Eviteremo così di crescere figli e cittadini fragili, sviluppando invece talenti, attitudini e peculiarità che ognuno ha, diverse dagli altri.