Più di 17 industrie globali sono coinvolte nel lavoro forzato degli Uiguri sponsorizzato dallo Stato cinese
Durante la Seconda guerra mondiale, gran parte del mondo rimase in silenzio mentre i nazisti uccidevano sistematicamente sei milioni di ebrei. Dopo la guerra, la comunità internazionale giurò: “Mai più”. Eppure, settant’anni dopo, il Partito comunista cinese (Pcc) sta commettendo un genocidio contro gli Uiguri e il mondo rimane inquietantemente in silenzio. Così come alcune grandi imprese hanno tratto profitto dal lavoro forzato degli ebrei durante l’Olocausto, oggi molte aziende occidentali sono coinvolte nella tragedia che sta colpendo gli Uiguri.
Da quando Xi Jinping è salito al potere nel 2013, il Pcc ha intensificato le sue politiche razziali nel Turkistan orientale (Xinjiang), passando dalla discriminazione al vero e proprio genocidio. Nel 2015, la “legge antiterrorismo” ha permesso la persecuzione sistematica degli Uiguri e di altre popolazioni turche. Fino a tre milioni di Uiguri sono stati detenuti in campi di concentramento, dove devono affrontare indottrinamento, tortura, stupro, sterilizzazione forzata e altri trattamenti disumani volti a cancellare la loro cultura e la loro religione. Nonostante questi crimini siano stati riconosciuti a livello internazionale come crimini contro l’umanità oppure genocidio da undici parlamenti nazionali, compresi quelli dell’Ue e del Regno Unito, le atrocità continuano.
Dal 2019 sono emerse prove del lavoro forzato nella regione. Sono state documentate piccole fabbriche vicino ai campi e il trasferimento forzato di oltre due milioni di giovani Uiguri per lavorare nelle città industriali cinesi. Più di 17 industrie globali sono coinvolte nel lavoro forzato degli Uiguri sponsorizzato dallo Stato cinese. Le organizzazioni per i diritti umani hanno scoperto che quasi la metà delle aziende indagate – oltre 2’000 in totale – ha utilizzato il lavoro forzato degli Uiguri nelle proprie catene di approvvigionamento.
Nell’industria solare, il 35% del polisilicio globale di grado solare, utilizzato nei pannelli solari, è legato al lavoro forzato degli Uiguri. Inoltre, il 22% del cotone mondiale proviene dalla Cina, con il 75% prodotto nella patria degli Uiguri. A seguito di campagne pubbliche, aziende come la Basf sono uscite dalla regione e la Volkswagen ha condotto un audit sul suo stabilimento di Urumchi, anche se gli attivisti hanno chiesto una revisione indipendente. Il cosiddetto “Corpo di produzione e costruzione dello Xinjiang” (Xpcc o Bingtuan) svolge un ruolo cruciale nel lavoro forzato imposto agli Uiguri da parte dello Stato cinese. Questa organizzazione paramilitare ed economica governa vaste aree del Turkistan orientale e gestisce il sistema dei campi di concentramento. Riconoscendo il suo ruolo, nel marzo 2021 l’Ue ha sanzionato l’Xpcc per violazioni dei diritti umani, tra cui l’internamento arbitrario di massa, la degradazione degli Uiguri e gravi persecuzioni della libertà religiosa.
Gli attivisti Uiguri in esilio lavorano instancabilmente per denunciare questi crimini, spesso affrontando molestie e minacce da parte del governo cinese. Nonostante le leggi internazionali che li proteggono, la Cina continua la sua campagna di repressione anche transnazionale.
È tempo di riconsiderare il commercio con la Cina. Il mondo non può stare a guardare mentre queste atrocità continuano. Il “business as usual” deve finire e i leader mondiali devono agire per fermare il genocidio degli Uiguri. Il mondo ha bisogno di campioni della democrazia e dei diritti umani, non di complici di crimini contro l’umanità.