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Agricoltura di montagna, realtà da salvare

(Ti-Press)

Non può lasciare indifferenti la pagina pubblicata giovedì su questo giornale che raccontava la passione, le angosce e le speranze di Lisa, una ragazza ticinese che si impegna nell’agricoltura di montagna. In maniera rispettosa, ma allo stesso modo chiara (e a tratti giustamente cruda, quando si sono richiamate le scene dei propri animali sbranati dai lupi), si è esposto quanto questo settore sia sotto pressione e quanto le persone che vi sono attive vivano nell’incertezza.

Sì, perché in una realtà già di per sé complicata, gli attacchi del lupo, i danni del maltempo e il sentirsi abbandonati (con quell’impressione di indifferenza generale) mettono a dura prova quella forza di volontà necessaria per andare avanti.

Ho apprezzato molto, in questi mesi alla presidenza della Stea (la Società ticinese di economia alpestre), la buona collaborazione con tanti attori del territorio: dall’Unione dei contadini ai Patriziati, dall’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori alle Condotte veterinarie. Ma anche il dialogo costruttivo con gli uffici del Cantone e in particolare la Sezione dell’agricoltura e l’Ufficio caccia e pesca, che hanno mostrato un primo cambio di passo nell’affrontare alcune tematiche (dalla formazione dei cacciatori per il contenimento del lupo alle richieste verso Berna per continuare a finanziare i necessari aiuti ai pastori, per fare alcuni esempi). Tuttavia, ora è più che mai necessaria un’ulteriore accelerazione e capire che bisogna agire con più decisione perché, se ignorato, l’emblematico grido di allarme di Lisa potrebbe essere il preludio all’imbocco di un vicolo cieco.

Dobbiamo capirlo, e dobbiamo farlo rapidamente: la realtà dell’agricoltura di montagna, parte integrante della nostra cultura e attività essenziale per preservare il territorio, si trova sull’orlo di un precipizio. Se in breve tempo non si sarà in grado di invertire alcune tendenze, tra pochi anni potrebbe diventare qualcosa che, per diverse zone del Ticino, troverà spazio solo nei libri di storia. Sì, perché questa realtà non è destinata a ritornare: una volta abbandonata, sarà di fatto persa per sempre.

Dopo tutto, in definitiva, si tratta semplicemente di avere un minimo di comprensione, di empatia e di rispetto per tutte queste persone che, con passione e sacrificio, ogni giorno scelgono di portare avanti la nostra agricoltura di montagna.

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