Gli attimi, drammatici, della tragedia visti attraverso gli occhi di un testimone. Mentre è iniziata la fase di ricostruzione
Nel mio intimo me l’aspettavo, ma temevo che non accadesse: il legno si piega e non si spezza, anzi si dà la spinta per tornare come era. La popolazione in ogni dove e in tanti modi sta reagendo e migliaia di mani stanno ricucendo gli strappi per rimarginare le ferite. Parto dal mio paese, Broglio, per fortuna tra i meno colpiti: si è riaperto il chiosco gestito dal Patriziato, posato però qualche metro più in là contro la scarpata: stavolta dovrebbe resistere alle grinfie del fiume. Invece al posto del parco giochi e del campetto da calcio travolti dalla piena, dopo aver rimosso sassi, ghiaia e tronchi, c’è una distesa di sabbia, ma la voglia di ricostruire le altalene, gli scivoli, le porte da calcio e tutto il resto è tanta! I volontari si scusano perché non ci sono ancora i gelati, però arriveranno presto… i bambini scalpitano. Due chilometri più a nord nei villaggi di Prato e Sornico, dove la furia della piena è stata spietata, lo stesso fervore con la scossa emulativa che ha contagiato tutti. Dopo aver liberato con le grosse ruspe la cantonale dalla massa di detriti rovesciata a valle dal Ri Scodau, capillarmente l’azione riparatrice ha ripulito case, garage, giardini, la piazza antistante al Centro sportivo, i locali a pianterreno dell’edificio scolastico e l’arredamento della scuola dell’infanzia, la sede dei pompieri. Grazie al pronto intervento dei collaboratori dell’Archivio storico cantonale si sono recuperati i documenti più antichi depositati nella sede del Patriziato di Sornico e si spera di poterli restaurare. Dentro questi libri risiede la saggezza che in passato ha permesso di difendere i nostri villaggi dalle insidie della natura: ascoltiamo meglio le voci di chi ci ha preceduti e che lungo i secoli hanno sedimentato le competenze per costruire bene e nei luoghi più protetti. La toponomastica doveva insegnarci qualcosa, ma così non è stato, ma per il futuro teniamone conto nella pianificazione della ricostruzione. Tutti i luoghi denominati Gér, Geriola, Isola, Gérina, Sabiómm, mettendoci pure quelli declinati al peggiorativo come Valascia, Gerascia, Lüinascia, Valégia, oppure altre etimologie che richiamano disgrazie, alluvioni (Büza), valanghe, franamenti (Sgrüscia, Sgurbiett, Frana) andrebbero rifuggiti quando si costruiscono (o ricostruiscono) case, stalle o altre infrastrutture di lunga durata. La storia locale, i nostri vecchi e la saggezza popolare devono ispirare ingegneri, geologi, tecnici, urbanisti, paesaggisti e altri specialisti quando progettano strade, ponti e intervengono sui fiumi e sugli immediati dintorni. Un approccio pluridisciplinare, in cui figura anche la storia locale, volto a dare più sicurezza a chi vive in montagna e vuole continuare a farlo. Inoltrandomi in valle di Peccia, l’epicentro della furia, assieme all’adiacente Val Bavona, il disastro si mostra in tutta la sua crudeltà e violenza, ma è proprio qui che è ancora più palpabile la reattività dell’uomo di montagna, mosso dal suo carattere forte e dalla sua identità che si traduce in veemente e immediata operosità nel ricostruire.
Ho riportato indietro l’orologio agli attimi drammatici del sabato della tragedia in cui chi c’era avrebbe voluto/dovuto scappare, ma dove? In quel momento il dove in cui rifugiarsi non esisteva più: impetuose colate di acqua, fango e sassi dappertutto. Lo scappare poteva facilmente diventare una trappola mortale! Ce l’ha insegnato il Draion con i suoi trecento ospiti che, in barba al suo nome, ha salvato quasi tutti. Se ci fosse stato il fuggi fuggi quanti scoscendimenti erano lì pronti a inghiottire chissà quante vittime: a pochi passi il Ri da Sovenat, poco dopo Cortignelli un altro torrente impazzito, a Sornico il fiume esondato, poi il Ri Scodau e via via altre insidie, con il ponte di Visletto pronto a inghiottirti, quando oramai pensavi di avercela fatta. Da subito tutti a darsi da fare, chi con i grandi mezzi a liberare strade, piazze, piazzali, chi a ripulire la propria casa violata nella sua intimità, chi a pulire garage e scantinati, chi a portare a valle elitrasportate le carcasse delle mucche della Brunella e del Manuel rapite ai verdi pascoli degli alpi Bolla e Froda. Una donna accovacciata a raddrizzare e ripulire dal fango i suoi fiori… ognuno a modo suo per riemergere dalla tragedia.