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Il paradosso della rana

(Depositphotos)

Tutti conoscono la storia della rana: se messa in una pentola di acqua calda salta subito fuori, mentre se la mettiamo in acqua fredda e poi riscaldiamo l’acqua non si accorge del cambiamento e muore. L’economia e la politica ticinese si trovano nella situazione della rana immersa nell’acqua fredda: non si stanno accorgendo che la situazione sta peggiorando e che presto l’acqua sarà troppo calda. Per uscire da questa situazione sarebbe necessario unire le forze e abbandonare il dogmatismo politico e cercare di elaborare una strategia comune di lungo periodo. In primo luogo, è necessario essere onesti e trasparenti. Mi permetto di proporre alcuni elementi che bisognerebbe avere il coraggio di affrontare con lucidità, da considerare come esempi tra i molti possibili.

Nelle scorse settimane gli impresari costruttori si sono lamentati che non ci sono abbastanza commesse pubbliche e che questo rischia di mettere a repentaglio diversi posti di lavoro. Avranno anche ragione, ma che posizione hanno quando si annunciano tagli sui dipendenti pubblici? Forse pensano che i lavoratori delle imprese private (spesso frontalieri) sono più importanti di quelli statali? Non è che magari hanno paura di vedere diminuire i lori margini di profitto, dovuti in maniera non certo marginale ai lavori pubblici che spesso lasciano più di un dubbio (come il rifacimento del marciapiede della circolazione di Malvaglia, la deviazione della pista ciclabile a Gudo – dove sono in corso lavori da quasi un anno –, o la frantumazione della roccia a Magadino a destra della strada cantonale sempre per la pista ciclabile, tanto per fare alcuni esempi)?. Magari saranno anche opere indispensabili ma se, come si dice, le casse pubbliche piangono, tutti dovrebbero fare sacrifici e non solo l’anziana che vive con meno di 2’000 franchi al mese, alla quale hanno tagliato i sussidi della cassa malattia perché è proprietaria della casa in cui abita (e dove ha messo tutti i suoi risparmi). Insomma, non si può dire “quando tocca a me non va bene, quanto tocca agli altri taccio”: non è questa la soluzione. Ogni azione può essere giustificata dal punto di vista personale, ma in democrazia e in un Paese civile solo la soluzione condivisa ha senso. E di contraddizioni di questo tipo ne vediamo molte: va bene aumentare il numero dei poliziotti ma non quello degli infermieri o degli insegnanti; va bene tagliare le aliquote ai ricchi ma le pensioni devono essere riviste, va bene che lo Stato investa in opere pubbliche (che poi non sempre sono investimenti) ma non nelle energie rinnovabili...

Fatto sta che sono necessarie analisi concrete. Non posso dire che se non sgraviamo i ricchi questi se ne vanno, soprattutto se il loro numero (quelli con oltre 5 milioni di sostanza) è aumentato notevolmente (da 500 a 2000), addirittura con una percentuale superiore a quella del canton Zugo. Nessuno vuole cacciarli, ma sarebbe corretto fare un’indagine seria per verificare i motivi per i quali sono venuti ad abitare in Ticino ed eventualmente cosa non va bene. Probabilmente per loro le aliquote fiscali non sono prioritarie e allora si potrebbe intervenire in altri ambiti.

A proposito di ricerca e analisi scientifiche sarebbe indispensabile affrontare seriamente il tema. Nell’esempio precedente relativo alla competizione fiscale, l’istituto (Supsi) che si occupa di questi temi dovrebbe elaborare delle ricerche un po’ più dettagliate e non unidirezionali. Altro esempio è quello del divario salariale con il resto della Svizzera. Negli ultimi mesi ha fatto breccia la spiegazione che i dati non sono paragonabili, perché si confronta il Ticino con delle macroregioni e non con gli altri cantoni. È toccato a un economista dell’Ufficio cantonale di statistica dimostrare che i dati sono fondamentalmente corretti. Tutto questo per dire che abbiamo voluto creare strutture universitarie (Usi e Supsi) affinché potessero fornire un contributo anche alla conoscenza della realtà ticinese ma con risultati mediocri. Quando l’Ire era un istituto pubblico del Cantone, forniva regolarmente analisi economiche utili, ma da quando è passato sotto il controllo dell’Usi è praticamente scomparso dai radar. Il problema è che queste due strutture (Usi e Supsi) – che sono finanziate con soldi pubblici – appaiono come un club privato gestito da Cl (Comunione e liberazione), a dimostrazione del fatto che uno dei fondatori di questa comunità religiosa (fonte Rsi) amministra l’Usi dalla sua fondazione e continua tutt’ora nonostante abbia abbondantemente superato l’età pensionistica. Personalmente non ho nulla contro Cl, ma se ambiscono ad avere una loro università che la finanzino con soldi privati e non con quelli pubblici. Purtroppo nessun politico e nessun partito sembrano essere coscienti del problema (diverso il discorso oltre Gottardo), in particolare che la formazione universitaria deve essere aperta, pluralista, trasparente, libera e, anche utile alla crescita del Ticino.

Naturalmente potremmo fare molti esempi di strutture che funzionano a compartimenti stagni (o secondo interessi politici e di categoria) – come il turismo, l’agricoltura o l’innovazione –, dove la politica e i partiti si sono accaparrati spazi di manovra che difendono a oltranza. A proposito di innovazione – elemento fondamentale dello sviluppo – sarebbe interessante avere una valutazione scientifica della fondazione Agire, dalla sua nascita fino a oggi, e del trasferimento di innovazione dalla Supsi alle imprese.

Se vogliamo uscire dal paradosso della rana è necessario trovare una concordanza oggettiva sui punti centrali dello sviluppo futuro del cantone. Al momento attuale sembra una missione impossibile, ma prima si inizierà a discutere seriamente e a stabilire dei punti di collaborazione, meglio sarà per il Ticino

Spesso si citano i Grigioni come cantone virtuoso. Non conosco a sufficienza i meccanismi politici e della politica economica per potermi esprimere, ma mi sembra che due cose siano evidenti. La prima è che il cantone riceve dalla perequazione intercantonale molto di più di noi; la seconda è che quando devono prendere delle decisioni per il futuro, lo fanno con sufficiente razionalità politica perché il bene comune è più importante delle visibilità partitica e personale.