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Moniti storici per il presente

(Keystone)

Nell’arena politica anche la storia diventa materia di scontro. Come sosteneva Orwell, controllare il passato vuol dire controllare il presente e quindi porre le basi dell’egemonia, dall’informazione (stampa, radio, televisioni, canali sociali, fondazioni culturali) alle scuole di ogni ordine e grado. In Italia la destra al potere non esita a detronizzare i dirigenti che appartengono al campo avverso, o che semplicemente non manifestano simpatie per questo o quel partito. Ma il passato è coriaceo, non tollera il rovesciamento dei fatti e delle responsabilità accertate dalle testimonianze e dall’ingente archivio delle fonti. Di qui il continuo tentativo di riscrivere determinati episodi ricorrendo a perifrasi (v. l’uso di libertà al posto di Liberazione), oppure minimizzando il contributo dei repubblichini alle stragi naziste. Ogni fase che ha segnato il ventennio mussoliniano subisce una ripulitura semantica, che si tratti della marcia su Roma, la Resistenza, il 25 aprile. Vedremo tra qualche settimana (la data è il 10 giugno) come verrà ricordato dal governo il delitto Matteotti: non siamo sicuri che gli eredi del neofascismo si aggregheranno alle commemorazioni.

Come detto, la tecnica più efficace consiste nell’occupare in modo sistematico i centri nevralgici. Di qui passa il flusso informativo che permette di orientare umori e preferenze della cittadinanza. La strategia è tanto più efficace quanto più la società è disgregata, frammentata, sfiduciata nei confronti del sistema dei partiti. Anche verso quelle formazioni che un tempo garantivano un collante robusto, fatto di programmi e valori difesi da gente onesta. Un pur breve sguardo alla progressiva ascesa del fenomeno fascista all’indomani della Grande Guerra del 14-18 permette di comprendere come le istituzioni dell’Italia liberale siano precipitate anno dopo anno nel gorgo dell’intimidazione e della violenza.

Il caso Salvemini

Nella scuola il primo passo verso la "normalizzazione" dei rapporti tra corpo docente e autorità avviene nel dicembre del 1925, tramite il decreto legge in cui si dispone l’esonero dal servizio di tutti i funzionari statali (e dunque anche degli insegnanti) "che non diano per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori d’ufficio piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si ponessero in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo". La più illustre vittima di questo decreto sarà lo storico Gaetano Salvemini, che già qualche mese prima aveva scelto di auto-esiliarsi a Londra. Nella lettera in cui comunicava al rettore dell’Università di Firenze la sua rinuncia alla cattedra, Salvemini osservava: "Signor Rettore, la dittatura fascista ha soppresso, ormai, completamente, nel nostro paese, quelle condizioni di libertà, mancando le quali l’insegnamento della Storia – quale io lo intendo – perde ogni dignità, perché deve cessare di essere strumento di libera educazione civile e ridursi a servile adulazione del partito dominante, oppure a mere esercitazioni erudite, estranee alla coscienza morale del maestro e degli alunni".

Nel 1928 Salvemini avrebbe dovuto far tappa in Ticino per un ciclo di conferenze, dietro invito delle cerchie antifasciste, ma le autorità federali (Motta) e cantonali (Cattori) opposero il veto per non guastare le relazioni con l’Italia. In una lettera inviata ai giornali, uno dei protagonisti della vicenda, lo scrittore Francesco Chiesa, motivò la decisione con queste parole: "Mi sono rifiutato a invitare Gaetano Salvemini, non certo perché io disconosca il suo valore scientifico, ma perché non credo opportuno che la nostra scuola inviti una persona la quale, fuori di patria, ha assunto un atteggiamento così aperto di battaglia contro il Governo del suo paese. Governo che indipendentemente da ogni consenso o dissenso dottrinale, rappresenta per noi l’Italia".

Il giuramento del 1931

Il secondo giro di vite interviene nell’ottobre del 1931. Il regime impone a tutti i professori attivi negli atenei italiani di giurare fedeltà a Vittorio Emanuele III e al Duce. La formula è la seguente: "Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante ed adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla patria e al Regime Fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti la cui attività non si concili con i doveri del mio ufficio". Aderiscono oltre milleduecento docenti, solo dodici rifiutano la firma. Le conseguenze sulle carriere accademiche degli oppositori, come pure sul destino dei loro familiari, saranno pesanti.

Per la difesa della razza

La terza discriminazione, la più nota e probabilmente la più infame, sopraggiunge nel novembre del 1938 e porta il titolo "Provvedimenti per la difesa della razza italiana", 29 articoli in cui i legislatori (sempre il Re e Mussolini) escludono dal consorzio umano tutti gli ebrei e i loro figli, anche coloro che sette anni prima avevano prestato giuramento. Il Corriere della Sera, nell’edizione dell’11 novembre 1938, riporta la misura in prima pagina a caratteri cubitali: "Le leggi per la difesa della razza approvate dal Consiglio dei ministri". Seguiva una sintesi degli articoli: "I matrimoni misti sono proibiti – La definizione di ‘ebreo’, le discriminazioni e l’annotazione allo Stato Civile – L’esclusione dagli impieghi statali, parastatali e di interesse pubblico – Le norme concernenti le scuole elementari e medie e gli insegnanti". Danno man forte, sulla base di una presunta scientificità, i cattedratici fieramente razzisti, con notazioni quali "la popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana". E ancora: «Esiste ormai una pura ‘razza italiana’". Farneticazioni, certo, ma che gettarono nella miseria più nera l’intera comunità ebraica presente nella Penisola da secoli.

Il lettore, giunto a questo punto, si chiederà se l’attuale destra italiana non sia tentata dall’imboccare strade scivolose, prossime alle "democrature" dell’Est. Noi non vogliamo crederlo. Gli antidoti, benché infiacchiti da un’opposizione spesso scombinata e litigiosa, conservano ancora il loro principio attivo. Tuttavia è meglio stare all’erta, come i casi sopra elencati insegnano.