Il Dfe continua la sua corsa al ribasso in nome della competizione fiscale. Alla maggioranza del cantone serve tutt’altro
Spronato da più parti, il direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia continua la sua rincorsa a un posto da mediano nella classifica dei cantoni più o meno fiscalmente attrattivi. Dopo le aziende, questa è la volta delle persone fisiche, con sgravi fiscali a favore quasi esclusivamente delle persone particolarmente benestanti. Una riforma che viene titolata a favore dei lavoratori. Sì, ma solo quelli con stipendi superiori ai 300’000 franchi. L’alibi che ha portato a questa proposta è quello della fuga dei grandi contribuenti.
Nel contesto attuale, con all’orizzonte tagli alle prestazioni sociali, quali ad esempio i sussidi cassa malati mentre i premi aumentano, non si pone solo un problema politico, ma anche etico e morale. Tagliare politiche sociali a sostegno di persone o famiglie in difficoltà per premiare i redditi alti, oltre a non corrispondere a un bisogno reale, significa mancare di rispetto a chi è meno fortunato. Se io fossi uno dei beneficiari di queste misure, mi chiederei se è giusto che io abbia un beneficio fiscale di 35’000 franchi all’anno, mentre 35 famiglie si vedono ridurre i sussidi di cassa malati di 1’000 franchi. Oltretutto, se guardiamo in prospettiva futura, considerata la decrescita demografica del nostro cantone, quello di cui abbiamo bisogno è una politica che attiri o trattenga giovani formati e famiglie. Un norvegese miliardario in più non migliora il tessuto economico del paese, cento giovani formati in più, sì.
Ma torniamo alle politiche fiscali che vorrebbero evitare l’emorragia dei grandi contribuenti. Dapprima (nel 2017) è stata ridotta l’imposta sulla sostanza ai capitali superiori a 1’300’000 franchi e ora si riduce l’aliquota sul reddito alle persone con un imponibile superiore a 300’000 franchi. Da sole, queste due operazioni costano alle finanze pubbliche più di 70 milioni a favore di una minoranza dei contribuenti e questo, come detto, con la motivazione-alibi di non farli scappare.
In realtà, se guardiamo i dati ufficiali, le persone particolarmente facoltose continuano ad aumentare in Ticino, anche perché l’aliquota fiscale non è l’unico elemento determinante. Contano molto di più la stabilità sociale, le strutture scolastiche e sanitarie, il territorio, il clima, le vie di comunicazione e la lingua italiana. Per quanto riguarda i dirigenti di grandi aziende, determinante è invece la presenza di manodopera frontaliera qualificata a pochi chilometri dalla sede aziendale.
A confutare la tesi della fuga di persone particolarmente facoltose sono le cifre ufficiali! Ebbene, dal 2013 al 2019 i casi di tassazione di persone con una sostanza superiore ai 5 milioni di franchi sono aumentati del 73%, mentre i casi di tassazione di persone con un reddito superiore ai 200’000 franchi dal 2013 al 2017 sono cresciuti del 23%.
Del presunto bisogno di una simile politica fiscale abbiamo detto. La domanda successiva che dobbiamo porci è se possiamo permettercela. Siamo il cantone con i salari più bassi della Svizzera e il substrato fiscale della maggioranza dei cittadini è sempre più fragile. Inoltre, già oggi le finanze cantonali hanno un disavanzo strutturale di 150 milioni di franchi, in parte dovuto a precedenti fiscali non sostenibili, tanto che all’orizzonte abbiamo tagli a servizi e prestazioni. Sussidi di cassa malati e contratti di prestazione a case anziani e istituti per invalidi saranno i primi a pagarne le conseguenze.
E allora la risposta è no! Non possiamo permetterci queste politiche fiscali. La politica, quella vera, deve lavorare per uno sviluppo qualitativo dell’economia del Paese, accompagnato da una redistribuzione equa delle risorse, garantendo sostegno a chi ne ha più bisogno e imponendo una maggiore tassazione a chi può permetterselo. In questo modo si costruisce una società più moderna, giusta e solidale, che rispetta e protegge i diritti di tutti i suoi cittadini.