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Verso la sperimentazione

(SUPSI)

Chi condivide i principi e i valori che stanno a fondamento della scuola pubblica ticinese, enunciati in particolare nell’art. 2 della Legge della scuola, si rallegra del voto con il quale lo scorso 14 febbraio il Parlamento cantonale a larga maggioranza ha dato il proprio "nullaosta" (come richiesto dal Messaggio del Consiglio di Stato) alla sperimentazione nel biennio di orientamento della scuola media dell’insegnamento della matematica e del tedesco in classi eterogenee, in sostituzione degli attuali corsi attitudinali e di base. Del risultato perciò può rallegrarsi anche la Società ticinese degli amici dell’educazione e di utilità pubblica – Demopedeutica, fondata nel 1837 da Stefano Franscini con lo scopo di promuovere "notabili progressi" della pubblica educazione in Ticino. Il Rapporto di maggioranza della Commissione formazione e cultura approvato dal Gran Consiglio muove in questa direzione. Si tratta di un passo importante verso il superamento dell’attuale sistema dei livelli; non è però ancora il risultato auspicato dall’iniziativa legislativa elaborata "Basta livelli" che sarà raggiunto soltanto il giorno in cui sarà approvata la modifica legislativa proposta, una volta che sarà conclusa la sperimentazione e il suo esito sarà valutato positivamente.

Non mi ha sorpreso che le ali estreme del Parlamento cantonale non abbiano votato il Rapporto di maggioranza. Le loro reali intenzioni sono note infatti anche ai merli della Turrita e non abbisognano di ulteriori commenti.

Anche il partito liberale non ha votato il Rapporto di maggioranza. Da quella parte, che per tanti decenni ha retto le sorti della scuola pubblica ticinese, ci si poteva attendere invece una diversa attitudine. La riforma della scuola media auspicata dall’iniziativa legislativa elaborata "Basta livelli" e sottoscritta da 7’650 cittadine e cittadini è fondata infatti su uno dei valori fondamentali della cultura politica democratica e liberale: il principio di eguaglianza delle opportunità – di quelle opportunità iniziali (in particolare educative e formative) di cui si ritiene che tutte le persone debbano godere egualmente al momento dell’ingresso nella vita adulta o quanto meno al termine della scuola dell’obbligo. Il sistema attuale dei livelli contraddice però questo principio in quanto lo status socio-economico delle allieve e degli allievi (definito dal capitale economico, sociale e culturale di cui dispongono i loro genitori) costituisce un fattore importante, in taluni casi determinante, nella scelta dei corsi.

L’eguaglianza delle opportunità non è ovviamente l’eguaglianza dei risultati. È una distinzione elementare nel lessico politico che però qualcuno ancora ignora, come risulta da un commento di G. Laperchia apparso all’indomani del voto del Gran Consiglio. L’autore accusa gratuitamente i fautori della proposta di superamento dei livelli di "esigere l’eguaglianza dei risultati sul piano didattico". Rassicuro Laperchia che non c’è alcuna "illusione di una scuola egualitarista" alla base del superamento dei livelli, ma soltanto la constatazione che l’attuale differenziazione curricolare del secondo biennio della scuola media è ingiusta ed inefficace, oltre ad essere basata su una scelta precoce e immatura dell’allievo.

Si dovrebbe pure sapere che non è vero che l’insegnamento in classi eterogenee "tenda a livellare verso il basso le capacità individuali degli allievi", come sosteneva l’iniziativa parlamentare liberale di A. Speziali. È vero semmai il contrario. Anzitutto è ormai provato (anche dalla letteratura scientifica citata nel Messaggio del Consiglio di Stato) che la suddivisione in gruppi omogenei per materie specifiche non produce risultati apprezzabili per gli allievi più abili, mentre produce sicuramente effetti negativi sui risultati scolastici degli allievi meno abili. Altre ricerche scientifiche attestano inoltre che l’insegnamento per gruppi eterogenei dà risultati migliori per tutti gli allievi, anche per i più abili, purché le scelte didattiche siano adeguate. Si deve infatti considerare che il passaggio all’insegnamento per gruppi eterogenei non lascerà le cose come stanno ora, ma imporrà un mutamento rilevante delle strategie didattiche.

La ricerca scientifica mostra pure però che malgrado numerosi studi dimostrino l’inefficacia della separazione degli allievi sulla base dei risultati, le scuole continuano a praticarla e che insegnanti e quadri scolastici manifestano spesso scetticismo nei confronti della didattica per gruppi eterogenei. Bene ha fatto perciò la maggioranza del Gran Consiglio a introdurre il criterio dell’adesione "volontaria" di singole sedi di scuola media alla sperimentazione stessa. Nessuno ignora che richiederà molto impegno; perciò è indispensabile che possa contare su insegnanti e quadri scolastici motivati, su professionisti dell’insegnamento esperti, competenti e coscienziosi. Sappiamo infatti che senza insegnanti validi non è possibile fare una scuola di qualità; e ciò vale a maggior ragione per un progetto tanto importante qual è la sperimentazione a cui il Gran Consiglio ha dato ora via libera.

Dunque la sperimentazione si farà. Il Rapporto di minoranza del partito liberale afferma però che la sperimentazione proposta dalla maggioranza commissionale è da considerare una mera "esperienza", essendo condotta in "poche sedi" – sei per la precisione – e con "diversi modelli" di codocenza. A mia volta, a chi considera la sperimentazione che si farà soltanto un’esperienza di scarso valore conoscitivo, vorrei ricordare che nel 2010 il Decs, allora diretto dall’avv. Gabriele Gendotti, propose una sperimentazione dell’insegnamento di storia delle religioni. La si fece in sei sedi, con due modelli diversi (in tre sedi il modello unico; nelle altre il modello misto) e per giunta con insegnanti incaricati, privi dell’abilitazione all’insegnamento. È vero che qualcuno tentò senza successo di screditare quella sperimentazione, ma nessuno si sognò di considerarla soltanto "un’esperienza".

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