Scambiando le solite 4 chiacchiere con un agricoltore, da cui acquisto degli squisiti prodotti alimentari, in merito a come stava andando la stagione, mi sono sorpreso nel sentirlo dire con tono amareggiato che "oltretutto, il mio allevamento tacciato per intensivo potrebbe dover chiudere". All’inizio pensavo che scherzasse perché so la cura e la passione con cui alleva i suoi animali. Ma lui ha insistito perché "non rispetto gli standard che vogliono fissare gli iniziativisti, allora il mio è un allevamento intensivo. Significa che pensano che sfrutto e maltratto i miei animali senza ritegno. E se l’iniziativa passasse, io chiudo". Il riferimento è all’iniziativa sull’allevamento intensivo. Leggendone bene il testo, ho capito che i suoi timori sono purtroppo fondati, e come me spero lo capiscano i nostri concittadini. Andando oltre il titolo che è ingannevole e solo condivisibile se letto superficialmente, se approvata, imporrebbe criteri così rigidi da obbligare molte aziende agricole svizzere a chiudere. E non parlo di quegli impianti di allevamento industriale che abbondano all’estero, ma di fattorie elvetiche di dimensioni notoriamente ridotte e a conduzione familiare che già oggi sono confrontate con molteplici difficoltà. Il mercato svizzero diverrebbe altamente esclusivo e i prezzi aumenterebbero di conseguenza, così come il turismo degli acquisiti e le importazioni da Paesi dove gli standard sono palesemente inferiori. Se l’iniziativa passasse io ne sarei toccato, fortemente, ma solo come consumatore. Per il mio amico agricoltore e molti altri suoi colleghi, invece, è anche una condanna del loro lavoro quotidiano, della loro passione e la negazione di come davvero trattano i loro animali. Una sanzione ingiusta e dannosa per tutti a cui dire No il 25 settembre.