Nell’ambito dello scontro sociale, politico e culturale carico di emotività, pregiudizi e ideologie a cui stiamo assistendo, quali possono essere le possibili risposte politiche all’autogestione in grado di gestire ed elaborare il conflitto?
L’autogestione può essere pensata e vissuta, a torto o a ragione, come un esperimento di democrazia radicale che si muove al di fuori delle istituzioni politiche e giuridiche della liberal-democrazia e dello stato moderno, fondandosi sull’ideale di un’assemblea auto-costituente che in quanto collettivo rifiuta qualsiasi forma di delega e rappresentanza democratica.
Per chi intende praticare questo modello politico il dialogo con le istituzioni crea due problemi che ne mettono in crisi i principi fondanti: il problema di dover delegare a qualcuno il dialogo con le istituzioni, snaturando e togliendo potere all’assemblea auto-costituente; e il problema di dover scendere a patti e fare dei compromessi con le istituzioni liberal-democratiche e l’autorità statale rispetto alle quali si vuole essere un’alternativa.
Se gli autogestiti intendono rimanere il più possibile fedeli ai loro valori, allora l’ubicazione del nuovo centro sociale non deve essere discusso con le istituzioni. Lo spazio deve essere occupato “illegalmente” tramite un atto di disobbedienza civile che, in quanto tale, crea uno luogo altro al di là e contro le norme e l’ordine imposto dall’autorità, al fine di poter pensare, praticare e produrre nuove norme e relazioni politiche, sociali e culturali.
Se invece gli autogestiti saranno disposti a scendere a compromessi iniziando a dialogare, allora bisognerà capire fino a che punto vorranno spingersi rinunciando alla purezza dei loro ideali. Al di là dell’autorizzazione a poter avere diritto a uno spazio idoneo, qualsiasi richiesta ulteriore da parte delle istituzioni rischia di essere problematica: più si chiederà loro di accettare regole imposte dall’esterno, meno ci sarà “autogestione”, mettendo in crisi la stessa ragion d’essere della loro esperienza politica ed esistenziale.
Voler essere un’alternativa radicale alle istituzioni della nostra società e allo stato non può che creare conflitto. La gestione di questo conflitto da parte di chi si muove all’interno delle norme e dell’ordine sociale costituito non può non interrogare la concezione stessa della democrazia liberale e dello stato moderno.
Se si mettono al centro valori e principi quali “ordine e legalità”, applicando una ragion di stato autoritaria che non tollera devianze rispetto al potere costituito e viola in nome di una supposta sicurezza diritti fondamentali, allora è probabile che qualsiasi forma di autogestione autentica non debba né possa essere accettata. Gli appelli al dialogo in questo contesto rischiano di essere ipocriti e trasformarsi in un dialogo tra sordi, facendo emergere quel desiderio di repressione delle differenze e delle alterità che ha provocato la distruzione dell’ex Macello.
Se si mettono invece al centro valori quali le libertà fondamentali, la tolleranza e l’accettazione delle alterità e delle differenze, alterità e differenze che in quanto tali mettono in discussione l’ordine dello stato e il potere costituito, allora sono gli stessi principi fondanti della liberal-democrazia a essere messi alla prova.
Fino a che punto si possono accettare visioni e modi di vita che entrano in contrasto con quel che una società reputa essere giusto ed è codificato nelle sue leggi? È possibile tollerare libertà, differenze e alterità che sono in contrasto con l’attuale modello di convivenza politica? Fino a che punto bisogna spingersi a chiedere agli autogestiti di fare dei compromessi?
Una democrazia può opporsi all’autoritarismo che distrugge differenze e alterità e viola diritti fondamentali accettando la possibilità della trasformazione e del continuo rinnovamento dell’ordine e del potere costituito, permettendo la nascita di nuove forme di vita e convivenza sempre più aperte e inclusive. Non per forza bisogna sempre dialogare, se il dialogo come spesso accade non è altro che un modo di convincere e assimilare l’interlocutore alla propria visione del mondo. Lasciar essere le alterità e le differenze può essere una via d’uscita benefica non solo per gli autogestiti, ma per la ragione e la vita stessa di una società fondata sulla libertà.