Abbiamo il dovere di proteggere i nostri bambini e le persone a rischio, poiché durante e dopo la scuola, il mondo non si ferma, e neppure il Covid-19
Aristotele ebbe a dire che “l’uomo è un animale politico”. Siamo animali socievoli, ma non istintivamente e automaticamente sociali, come ad esempio le formiche o le api. Gli esseri umani obbediscono alle regole del gruppo, come ogni animale, ma al momento opportuno le possono infrangere e produrre una gran confusione. In uno stato liberale non è scontato fare ciò che gli altri ci dicono di fare senza protestare, soprattutto se non ne intuiamo il senso, come è il caso per molti genitori in merito all’imminente apertura delle scuole, così come commentato da parte del medico cantonale, che ha dichiarato che sarebbe stato auspicabile agire con maggior agio di tempo e prudenza. Il nostro modo di vivere in società non si limita solo all’obbedienza, ma prevede anche la ribellione e l’inventiva. Per obbedire esigiamo ragioni più convincenti di quelle che ci sono date dalle autorità. Siamo sociali quando obbediamo per ragioni validamente motivate, ma lo siamo anche quando disobbediamo e ci solleviamo in nome di altre che ci sembrano più importanti. Quali sono allora le ragioni più importanti per disobbedire alle autorità sulla riapertura delle scuole dell’obbligo con una pandemia in corso? Quali sono le basi legali, al di là delle direttive imposte da parte del consiglio federale, talune mal digerite e in disaccordo con i pareri degli esperti sanitari? In quanto esseri pensanti e cittadini attenti, queste domande ce le poniamo, legittime anche perché con l’accelerata apertura in corso, il rischio di una seconda onda cresce, soprattutto in Ticino dove per rapporto ad oltre Gottardo la densità d’infezioni è ancora nettamente più alta.
Si apre, quindi, un esercizio molto complesso di salute pubblica, impregnato di questioni etico-morali, in una situazione completamente nuova e delicata, in cui sono tirate in ballo la salute e addirittura la vita di molte persone, soprattutto delle frange più vulnerabili della nostra società, come i malati e gli anziani, i nostri genitori e nonni. Ci sono però altre persone fragili, che hanno silenziosamente sofferto più di altri l’esperienza d’insegnamento a distanza e la fase di lock down e sono i bambini, ed accanto a loro, i genitori, i docenti e tutti i vari operatori scolastici. Comprensibilmente, tutti i bambini vorrebbero ritornare a giocare e a socializzare con i compagni, e i genitori vorrebbero essere delegittimati dal nuovo ruolo di docente di appoggio. Per capirne di più di questa situazione, l’aiuto può giungere dalla Convenzione ONU per i diritti dell’infanzia (CRC). Essa richiama l’importanza dei genitori o di coloro che si occupano di bambini (politici, docenti, educatori, medici, ecc.) che questi vanno considerati prima di tutto come persone competenti, che possono esprimere la propria opinione su tutte le questioni che li riguardano, quindi anche su andare o no a scuola col rischio di essere contagiati e diventare portatori del COVID-19. Qualche istanza scolastica ha mai seriamente ascoltato il loro punto di vista? Siamo sicuri che sono stati coinvolti nel rispetto dei propri bisogni ed opinioni? In quanto persone competenti, qualcuno si è mai chiesto se si possono sentire come oggetti o cavie sulla cui pelle lo Stato può sperimentare la fase 2, che è a dir poco confusa e azzardata, come riconosciuto da esperti virologi e da molti attori del mondo della scuola? Perché di sperimentazione e d’azzardo si tratta, visto che non disponiamo di una base scientifica chiara e univoca sulle persone asintomatiche e sulla pericolosità di contagio tra bambini e bambini, bambini e adulti (docenti e genitori). La CRC richiama anche l’articolo 3, che ci invita a valutare attentamente, in ogni questione e in ogni contesto, qual è l’interesse superiore e prioritario di ogni bambino, o allievo, come in questo caso. Siamo sicuri, che è nel suo interesse superiore quello di essere esposto al contagio del virus e diventare così un potenziale vettore della malattia? Siamo sicuri che lo Stato, nel periodo forse più delicato, stia mandando segnali non paradossali ai genitori, alle famiglie e alla società nel suo insieme? Perché fino a ieri, il messaggio era di assolutamente evitare il contatto intergenerazionale ed ora li si obbliga a stare insieme in un’aula, ma con tutte le precauzioni.
La responsabilità per la sicurezza dei bambini, in particolare di fronte ad una pandemia in corso, anche nel contesto scolastico, non spetta al DECS o al Consiglio federale, ma prima di tutto, ai genitori, che sanno meglio di chiunque altro cosa fare e come occuparsi dei propri figli nel loro interesse prioritario. Lo Stato ha il dovere, invece, d’intervenire per proteggere i bambini la cui vulnerabilità è ulteriormente aumentata dalle circostanze eccezionali causate dalla pandemia. Questi includono i bambini con disabilità, in condizioni di povertà, in situazione di conflitti intrafamiliari, richiedenti l’asilo, confinati in strutture, rifugiati, con problemi di salute o che vivono nelle istituzioni. Qualcuno ha notizie in merito di come stanno questi bambini e come hanno vissuto e stanno vivendo la pandemia? Se non ci fossero già state migliaia di persone ricoverate e bollettini quotidiani su morti e nuovi contagiati, sembrerebbe di vivere un’enorme prova generale di quello che potrebbe essere la vita scolastica tra qualche settimana. Per quanto si possa essere visionari e in merito alla confusione impregnata di pareri scientifici in contrasto (anche dal punto di vista pedagogico), non è possibile sapere come andrà la “seconda” quando il sipario si alzerà l’11 maggio. Ognuno di noi può però provare a essere autore o testimone di un esperimento che potrebbe riuscire, in questa prova generale… potrebbe, ma non lo sappiamo, ma qui abbiamo il dovere di proteggere i nostri bambini e le persone a rischio, poiché durante e dopo la scuola, il mondo non si ferma, e neppure il Covid-19.