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Da West a Stein, gli outsider che minacciano Harris

La mina vagante dei candidati indipendenti e di altri partiti minori che possono pesare nel conteggio dei voti negli Stati in bilico

Cornel West (candidato indipendente)
(Keystone)
24 ottobre 2024
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C‘è un fattore di imprevedibilità in più nelle già imprevedibili elezioni americane di quest'anno: gli outsider, ossia i candidati indipendenti e di terzi partiti che potrebbero causare l'effetto ‘spoiler’, togliendo abbastanza voti a Kamala Harris o Donald Trump e cambiando l'equilibrio del collegio elettorale, quindi l'esito del voto. Come successe nel 2000, quando Ralph Nader, l'allora candidato del Green Party, raccolse 97’488 voti in Florida, facendo perdere Al Gore per sole 537 preferenze. Ma c’è anche il fantasma di Ross Perot, che forse fece altrettanto ai danni di Bush padre nel 1992.

Al traguardo del 2024 ci sono sei spine al fianco dei principali duellanti, tra cui l'indipendente Robert F. Kennedy Jr (che è un caso particolare), l'intellettuale e attivista progressista afroamericano Cornel West (anche lui come indipendente), la candidata del Green Party Jill Stein (1,4 milioni di voti 4 anni fa) e quello del partito libertario Chase Oliver. In corsa anche Claudia De la Cruz, del Party for Socialism and Liberation, e Randall Terry, per il Constitution Party.

I guastafeste

Di solito per essere uno spoiler – termine della politica americana per indicare un outsider che non ha nessuna possibilità di vittoria ma che può rovinare quella altrui – un candidato di un terzo partito deve avere un grande sostegno oppure le elezioni devono essere sul filo del rasoio. Quest'anno nessuno degli outsider ha percentuali che superano l'1% ma la corsa è così testa a testa che, secondo alcuni analisti, il voto per un terzo candidato eccederà il margine della vittoria e quindi potrebbe essere "fatale". Anche perché la gara è appesa a qualche migliaio di voti in sette Stati in bilico (Wisconsin, Pennsylvania, Michigan, Georgia, North Carolina, Arizona e Nevada), in ciascuno dei quali c'è almeno un terzo incomodo.


Keystone
Jill Stein (Green Party)

A temere di più l'effetto spoiler è la vicepresidente. Non è un caso che i dem abbiano tentato di ostacolare la presenza nelle schede di Rfk e di altri candidati, accusando inoltre West di accettare aiuti da aziende legate ai repubblicani. E che gli alleati del tycoon abbiano invece sostenuto gli sforzi di Stein di gareggiare negli swing state. La candidata del Green Party è presente in 38 Stati su 50, compresi sei battleground. Scheda affollata di nomi in Wisconsin, dove sono in lizza tutti i candidati (quindi otto) e dove nel 2016 Stein ottenne 31’072 voti, oltre i 22’748 del margine con cui Trump sconfisse Hillary Clinton.

Stein potrebbe essere una minaccia per Harris anche in Michigan, dove la candidata dem rischia un flop tra gli elettori arabo-musulmani per la posizione su Gaza. Una minaccia doppia se si considera che pure West correrà in entrambi questi due Stati in bilico, oltre che in North Carolina e in altri 11. Kennedy jr è un caso a parte perché, dopo essere precipitato nei sondaggi dal 20% al 5%, in agosto ha sospeso la campagna appoggiando Trump e chiedendo di togliere il suo nome dagli swing states per non danneggiare il tycoon. Ma in Wisconsin e Michigan non ci è riuscito e quindi ha chiesto ai suoi elettori di votare l'ex presidente anche se lui rimane sulla scheda.


Keystone
Randall Terry (Constitution Party)

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