Viktor Babariko riconosciuto colpevole di corruzione e riciclaggio di denaro. Gli oppositori del regime, Stati Uniti e Ue denunciano una sentenza politica.
Mosca – Viktor Babariko era considerato il principale avversario di Aleksandr Lukashenko alla vigilia delle presidenziali del 2020 in Bielorussia. Ma non ha potuto sfidare alle urne "l'ultimo dittatore d'Europa". Nel giugno dell'anno scorso, due mesi prima del voto, è stato infatti arrestato per motivi ritenuti di matrice politica, e oggi la Corte Suprema lo ha condannato a 14 anni di reclusione in un processo che per molti osservatori è l'ennesima prevaricazione del regime per reprimere il dissenso.
La sua condanna ha suscitato l'indignazione degli Usa e dell'Ue, che ha chiesto "il rilascio immediato e incondizionato" dell'oppositore "nonché di tutti i prigionieri politici" e si è detta "pronta a valutare ulteriori misure" oltre a quelle già adottate "in risposta alle continue intimidazioni e alla repressione violenta di manifestanti pacifici, membri dell'opposizione e giornalisti" in Bielorussia.
Tra quest'anno e l'anno scorso praticamente tutte le figure di spicco dell'opposizione bielorussa sono finite dietro le sbarre o sono state costrette a lasciare il Paese. Babariko non fa eccezione.
L'ex manager di 57 anni è accusato di corruzione e riciclaggio di denaro nel periodo in cui era a capo di BelGazpromBank, il ramo bielorusso della banca che appartiene al colosso russo del gas Gazprom, e secondo l'ong per la difesa dei diritti umani Viasna i giudici gli hanno anche imposto di pagare 15 milioni di euro di danni.
Altri sette imputati sono stati condannati a pene fra i tre e i sette anni di reclusione, ma Babariko si dice innocente e l'ambasciata americana ha definito la sentenza "una crudele falsità" che dimostra come "il regime di Lukashenko non si fermerà di fronte a nulla per mantenere il potere", mentre, secondo fonti Ue, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha denunciato la condanna come "una mossa politica" discutendo del caso di Babariko in un incontro a Vilnius con Svetlana Tikhanovskaya.
La leader dell'opposizione bielorussa ha a sua volta parlato di una sentenza "folle", il cui vero obiettivo è zittire Babaryko. "Quattordici anni per la fede in un'idea", ha commentato su Telegram. "Il regime sta facendo di tutto per uccidere in noi le idee che siano anche remotamente simili a speranze".
Tikhanovskaya è stata l'unica dissidente che si è potuta candidare alle presidenziali l'anno scorso. Come Babaryko, anche suo marito, il blogger Sergey Tikhanovsky, è finito in carcere dopo aver annunciato di voler sfidare Lukashenko alle presidenziali e lei ha quindi deciso di farsi avanti.
Le elezioni ufficialmente sono state vinte da colui che governa la Bielorussia col pugno di ferro dall'ormai lontano 1994, ma l'improbabile trionfo di Lukashenko con l'80% dei voti è considerato frutto di massicci brogli elettorali. Così per mesi in Bielorussia migliaia e migliaia di persone sono scese in piazza contro il regime, che ha però reagito soffocando le proteste a colpi di manganello e con ondate di arresti.
Tikhanovskaya, che gli oppositori considerano la vera vincitrice delle elezioni, ha dovuto lasciare la Bielorussia subito dopo il voto, mentre sono dietro le sbarre il figlio di Babaryko, Eduard, il suo avvocato, Maxim Znak, e l'ex responsabile della sua campagna elettorale, Maria Kolesnikova, poi diventata una delle tre donne leader delle proteste (assieme a Tikhanovskaya e Veronika Tsepkalo).
Secondo la relatrice speciale Onu sui diritti umani in Bielorussia, Anais Marin, al momento sono circa 530 i detenuti considerati "prigionieri politici" rinchiusi nelle famigerate carceri della repubblica ex sovietica.