Un tribunale olandese ordina alla Shell di inasprire i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2. La sentenza potrebbe fare scuola.
L’Accordo di Parigi sul clima del 2015 impegna tutti i 196 Stati che lo hanno sottoscritto a ridurre le emissioni di CO2 per limitare il riscaldamento globale a 1,5-2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. Molti Stati (Svizzera compresa, con la nuova legge sul CO2 in votazione il 13 giugno) stanno in effetti agendo di conseguenza. Si muovono, più o meno lentamente, anche gli stessi produttori – privati e statali – di petrolio, gas naturale e carbone. Secondo il Climate Accountability Institute, le venti principali compagnie produttrici di combustibili fossili (Saudi Aramco, Gazprom, Chevron, Bp, Exxon Mobil, ecc.) sono responsabili del 35% delle emissioni di gas a effetto serra nel mondo tra il 1965 e il 2018. Hanno perciò “una significativa responsabilità morale, finanziaria e legale per la crisi climatica, e un onere corrispondente nel contribuire ad affrontare il problema”, scrive l’istituto di ricerca indipendente sul cambiamento climatico nell’ultimo aggiornamento (dicembre 2020) del Carbon Majors Report.
Un tribunale olandese lo ha ricordato proprio in questi giorni: le multinazionali (e i loro azionisti) possono – anzi, devono – svolgere la loro parte nello sforzo globale volto a contenere il riscaldamento del pianeta. In una sentenza che stabilisce un precedente, mercoledì una corte all’Aia ha ordinato al gigante petrolifero Shell di “ridurre la sua produzione di CO2 e quella dei suoi fornitori e acquirenti entro la fine del 2030 di un netto del 45% sulla base dei livelli del 2019”. La ‘policy’ della società in materia di sostenibilità ambientale è stata giudicata non sufficientemente “concreta”. La multinazionale anglo-olandese “deve attuare immediatamente questa decisione”.
Definito ‘il popolo contro Shell’, il caso era stato sollevato nel 2019 dalla filiale olandese di Friends of the Earth, una rete di organizzazioni ambientaliste, e sostenuto da altri sei gruppi e più di 17mila cittadini olandesi. Avevano chiesto alla corte di imporre tale riduzione, affermando che la Shell – con sede all’Aia – avrebbe dovuto raggiungere gli obiettivi di emissioni contenute nell’Accordo di Parigi. Il caso fa parte di una serie di azioni legali in tutto il mondo in cui cittadini e attivisti frustrati dall’inazione sul cambiamento climatico hanno portato i governi e i grandi inquinatori davanti ai tribunali.
La sentenza è stata accolta con gioia dagli attivisti per il clima. Stando a Friends of the Earth, è la prima volta che una multinazionale viene obbligata dai giudici ad adeguare la sua prassi ai dettami dell’accordo. La decisione si applica solo all’Olanda. Ma è destinata a fare scuola. Roger Cox, legale di Friends of the Earth, ha dichiarato al ‘Guardian’ che la sentenza potrebbe avere conseguenze di ampia portata per altri grandi inquinatori nel mondo.
Shell non ci sta e ha già annunciato che farà ricorso. A febbraio la società aveva dichiarato di aver fissato nuovi obiettivi per ridurre la propria impronta di carbonio netta rispetto a una previsione del 2016 del 20% entro il 2030, del 45% entro il 2035 e del 100% entro il 2050. I suoi obiettivi precedenti erano il 30% entro il 2035 e il 65% entro il 2050. Shell aveva affermato di essere impegnata in seri sforzi per ridurre le emissioni di gas. E mercoledì una portavoce ha detto alla Bbc che la società sta investendo miliardi di dollari in veicoli elettrici, idrogeno, energie rinnovabili e biocarburanti. Secondo il Climate Accountability Institute, la Shell è in nona posizione tra i grandi inquinatori mondiali.
La multinazionale del petrolio denuncia una decisione politica. A suo parere non esiste una base giuridica per il caso; sono i governi i responsabili del raggiungimento degli obiettivi di Parigi. All’Aia – ha riferito il ‘Guardian’ – la giudice Larisa Alwin ha ricordato però che «dal 2012 esiste un ampio consenso internazionale circa la necessità di un’azione non statale, poiché gli Stati non possono affrontare la questione climatica da soli».
Azionisti in pressing
‘Big Oil’ non deve fare i conti soltanto con pressioni politiche e cause giudiziarie. Anche gli azionisti spingono ormai affinché le società produttrici di combustibili fossili facciano di più – e più in fretta – per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Sempre mercoledì gli azionisti di Chevron hanno approvato una proposta per tagliare le emissioni dei suoi clienti. E due attivisti di un fondo per il clima sono stati eletti nel consiglio d’amministrazione di Exxon Mobil.
Le multinazionali sono in buona compagnia. Diversi Stati (Francia, germania, Stati Uniti, Portogallo, ecc.) sono stati portati in tribunale da gruppi di cittadini preoccupati per l’inazione delle autorità di fronte all’urgenza climatica. In marzo la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha chiesto alla Svizzera di prendere posizione sulla denuncia presentata da ‘Anziane per il clima’. L’associazione accusa la Confederazione di violare il diritto alla vita e alla salute delle donne in là con gli anni non proteggendo il clima.