La Svizzera subisce in pieno le conseguenze del cambiamento climatico. Un ‘no’ il 13 giugno farebbe perdere tempo prezioso, e i rischi aumenterebbero...
Nella piccola e confortevole Svizzera a volte crediamo di essere migliori degli altri; o di essere al riparo da certi fenomeni globali. La realtà del cambiamento climatico ci ricorda che siamo un Paese del tutto normale. Non brilliamo, né sfiguriamo in fatto di sforzi intrapresi per fronteggiarlo. Siamo grandi consumatori (leggi: produttori di rifiuti), viaggiatori (aereo) e pendolari (auto, molte di grossa cilindrata), abbiamo quindi una marcata impronta ambientale pro capite. E non siamo al riparo da nulla. Anzi: qui l’aumento della temperatura è doppio rispetto alla media mondiale; i ghiacciai fondono, la neve scarseggia, ogni tanto vengono giù pezzi di montagna, periodi di canicola e siccità sempre più frequenti si alternano a forti precipitazioni e inondazioni. Chiedete a un contadino, vi dirà lui cosa significa ‘cambiamento climatico’.
La nuova legge sul CO2 riflette questa normalità: è – appunto – un normale compromesso svizzero. Da un lato sancisce l’inefficacia degli strumenti in vigore (con la legge attuale possiamo scordarci l’obiettivo di riduzione 2020); dall’altro, li potenzia e ne aggiunge altri. Il tutto dovrebbe consentire alla Svizzera di dimezzare entro il 2030 le emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990. Se il 13 giugno prevarrà il ‘sì’, la Confederazione potrà fare onestamente la sua parte. Senza strafare. Ma in linea con gli impegni assunti firmando l’Accordo di Parigi sul clima.
Questa è una legge piuttosto ambiziosa, ma equilibrata. Non vieta nulla. E consacra il principio cardine del ‘chi inquina paga’: le persone che generano meno emissioni di CO2 (volando meno, guidando un’auto meno inquinante, riscaldando casa senza olio o gas) pagano meno di coloro che ne generano di più. Il 51% dei proventi delle tasse di incentivazione previste viene restituito alla popolazione. Cosicché nessuno risulta eccessivamente penalizzato se si comporta come ha sempre fatto. Se invece cambia abitudini, può perfino guadagnarci qualcosa. La legge è sociale, e anche le aziende ne traggono vantaggio (tutte potranno chiedere l’esenzione dalla tassa sul CO2, non solo le grandi come avviene oggi).
Non è una legge perfetta. Il miliardario Fondo per il clima voluto dal Parlamento finanzierà un po’ di tutto: dalla sostituzione dei riscaldamenti al risanamento energetico degli edifici, dai ripari valangari a innovazioni tecnologiche, dalle stazioni di ricarica per veicoli elettrici ai treni notturni, e così via. Bisognerà fare in modo che i soldi vengano versati in modo trasparente, e a progetti scelti con cura. Sarà pure necessario monitorare l’effettivo impatto sul portafoglio di chi vive in zone discoste e dei proprietari di vecchie case, prevedendo le opportune eccezioni e adeguati sostegni.
Detto questo, non perdiamo di vista l’insieme. Un ‘no’ non servirebbe a nulla. Ci vorrebbero anni per avere un’altra legge sul CO2. E con ogni probabilità non sarebbe migliore di questa. Tempo prezioso che andrebbe perso. Perché da un lato il riscaldamento globale è un fenomeno che non regredirà per conto proprio, spontaneamente (le misure sul tavolo servono a contenerlo, nulla di più); dall’altro, l’uscita dalle fonti energetiche fossili (carbone, petrolio, gas) è una tendenza ormai affermata e ineluttabile.
Ne va non solo della protezione di un bene pubblico qual è l’atmosfera. Swiss Re afferma che il cambiamento climatico è “un rischio sistemico”. Il prodotto interno lordo globale entro il 2050 crollerebbe del 18% senza ulteriori misure; ‘soltanto’ del 4% se saranno rispettati gli obbiettivi dell’Accordo di Parigi. Credete davvero che saremmo al riparo anche da questo?