Lo storico Ferdinando Fasce, esperto di Stati Uniti: ‘È cambiata la percezione sulla questione razziale, com'è arrivata la condanna dell'agente lo dimostra’
“Questo verdetto può essere davvero il punto di svolta”. La condanna di Derek Chauvin, l’agente che ha ucciso, soffocandolo, George Floyd a Minneapolis il 25 maggio del 2020, era tutt’altro che scontata. “I precedenti di questo tipo non erano favorevoli all’accusa”, sottolinea Ferdinando Fasce, storico e saggista, già ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Genova. Dei circa mille afroamericani uccisi dalle forze dell’ordine, solamente sette volte un poliziotto era stato condannato. “Qui però c’erano tutte le premesse per una condanna. Grande attenzione dei media, una mobilitazione di massa, fatti tragici molto simili che si sono susseguiti a brevi intervalli e continuano ad accadere. È stato un anno cataclismatico per le relazioni razziali e un verdetto di non colpevolezza per Chauvin avrebbe potuto fare da detonatore - spiega Fasce, che cita E. J. Dionne, columnist del Washington Post –. Invece assistiamo a un momento per certi versi storico, che può fare da sentenza pilota e concorrere a creare un’atmosfera diversa, dando forza a chi crede in una rinnovata età dei diritti civili e in uno sforzo per riformare la polizia. Per tutto questo, la sentenza di Minneapolis può essere importante, perché è un fatto raro, parola che ha usato anche Biden”.
L'America esulta quindi per l’esito del caso George Floyd, dalla politica (nonostante i repubblicani tacciano) al mondo dello sport e dello spettacolo, sino alle piazze gremite di folla che piange e applaude. “Un passo da gigante nella marcia verso la giustizia nel Paese”, lo ha definito il presidente Biden, ammonendo che “le sue ultime parole, 'non riesco a respirare', non possono morire con lui”. “La giuria ha fatto la cosa giusta”, hanno esultato Barack e Michelle Obama. “Finalmente riesco a respirare di nuovo", ha sospirato il fratello della vittima, che Biden ha promesso di portare alla Casa Bianca con tutta la famiglia.
Ma tutti, dal presidente in giù, sono consapevoli che il verdetto da solo non basta. Fasce trova però una speranza nel modo, oltre che nell’esito: “Questa è una sentenza di tribunale. Mentre i grandi passaggi nella storia dei diritti civili e dei rapporti razziali Negli Stati Uniti finora sono sempre passati per la Corte Suprema. È una rivoluzione impercettibile, ma sostanziale. Il razzismo è stato garantito dalla Corte Suprema nel 1896 e poi in parte ribaltato nel 1954 dalla stessa corte. Qua invece il cambiamento arriva da un livello più basso, ed è un chiaro segnale. Anche perché oggi, con una Corte Suprema molto spostata a destra, sarebbe difficile aspettarsi un atteggiamento altrettanto progressista”.
A colpire Fasce è anche il coinvolgimento diretto del procuratore generale del Minnesota, che ha gestito il caso, oltre alla deposizione del capo del dipartimento di polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo, che non solo è stato chiamata a testimoniare ma ha palesemente detto che l’agente Chauvin aveva violato ‘senza alcun dubbio’, il regolamento. Ammissione rarissima tra gli alti graduati. “Qui entra in gioco uno scarto importante rispetto a un problema serio, che se ne porta dietro uno ancora più serio. Il problema serio è il comportamento della polizia e l’abitudine a quel comportamento, che ha una lunga tradizione. Non c’è mai stata una riforma federale della polizia, che è strutturata a livello locale. Questo è uno di quei pochi casi in cui la forza del sistema decentrato americano si è dimostrata una debolezza, dimostrando che localismo può significare anche provincialismo, chiusura e quindi razzismo. I segnali che arrivano da Minneapolis vanno in una direzione diversa. Ma arriviamo alla riflessione storica, su quello che è costato agli Stati Uniti il tentativo di risolvere questioni sociali e di ordine pubblico, a partire dagli anni Settanta, attraverso la carcerazione di massa. Sono studi fatti perlopiù da donne, nere, con documentazione forte e consistente che hanno dimostrato l’infondatezza del metodo repressivo di massa”.
Ma cosa sarebbe successo se il processo si fosse tenuto al Sud e non in Minnesota? “Può aver pesato, ma questa volta è il clima generale che era diverso. Ci sono state proteste a carattere nazionale che non si vedevano dagli anni Sessanta. All’epoca c’erano rivolte nei ghetti in 128 città. Erano ovunque, ma circoscritte. Questa volta si è creato un consenso molto diffuso davanti a questa ingiustizia. Questa è una vicenda viscerale e profonda, non cambierà dall’oggi a domani con una sola sentenza, ma è tutto quel che si trascina dietro che ha un peso”. Anche la figura di Obama ha avuto un peso, “perché lui rappresenta molto più di quel che ha fatto. La sua presidenza è stata spesso zoppicante, ma come catalizzatore è formidabile. La sua solo presenza sulla scena, anche se non strettamente politica, aiuta a portare avanti certe cause e raccogliere consenso”. Su Biden, Fasce ha un’ottima opinione, “perché dallo sfacelo che ha trovato ne sta uscendo bene, benissimo. Certo sulle armi, che è un tema strettamente collegato a violenza e razzismo, non ha ancora fatto nulla di concreto, ma c’era da mettere mano ad altre cose. Proverà a fare anche quello, a suo tempo, con che risultati, non lo sappiamo” .
Intanto il ministro della giustizia Merrick Garland ha annunciato una nuova indagine sulle pratiche della polizia a Minneapolis, dall'uso eccessivo della forza alle discriminazioni. Se verranno individuate illegalità, si potrà arrivare a una riforma delle forze dell'ordine, come hanno già fatto dopo la morte di Floyd oltre 30 dei 50 Stati Usa, approvando più di 140 leggi che limitano l'uso della forza, rendono obbligatorie le body cam e agevolano le cause civili, depotenziando in parte lo scudo che proteggeva in questi casi la polizia. Intanto Chauvin attende in carcere, isolato per motivi di sicurezza, la pena che il giudice emetterà tra 4 settimane: secondo il codice rischia sino a 75 anni, una trentina stando alle linee guida del Minnesota.