Presto alla sbarra a Milano gli ’ndranghetisti coinvolti nel tragico fatto di sangue che nel 1975 ha visto come autore anche il ticinese Libero Ballinari
A quasi 48 anni dal sequestro di Cristina Mazzotti – 18enne studentessa milanese rapita il 1° luglio 1975, a pochi metri dalla casa di Eupilio, sopra Erba, e uccisa dai carcerieri tra i quali il ticinese Libero Ballinari – il pubblico ministero Stefano Civardi della Dda di Milano ha chiesto il processo per quattro imputati. Tutti legati alla ’ndrangheta, sono considerati autori materiali del rapimento.
Un sequestro indelebilmente legato alla tragica stagione dei rapimenti organizzati dalla ’ndrangheta, che si era radicata nel Comasco e nel Varesotto. In questo contesto si colloca anche il rapimento di Renzo Nespoli, il giovanissimo ticinese rapito il 15 gennaio 1977 nel maneggio di Grandate. Il commando di rapitori (tre calabresi poi arrestati e tutti condannati a 30 anni di reclusione) chiese un riscatto di 2 miliardi di lire. Il ragazzino fu però liberato senza il pagamento del riscatto.
Fra i quattro che a breve andranno a giudizio per concorso in sequestro di persona e omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, reati che prevedono l’ergastolo, figura Giuseppe Morabito, 78enne boss della ’ndrangheta calabrese, residente a Tradate, capo dell’omonima cosca.
Stando all’accusa, Morabito avrebbe ideato il sequestro della 18enne studentessa milanese assieme ad altri due boss della ’ndrangheta: Giacomo Zagari (nel frattempo deceduto e coinvolto in altri rapimenti) e Francesco Aquilano (pure lui deceduto). Gli altri tre imputati sono Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, tutti personaggi della vecchia ‘mala’ milanese. Un’impronta digitale sulla Mini nella quale si trovava Cristina Mazzotti – che assieme a un amico e a un’amica stava tornando a casa dopo aver festeggiato il compleanno in un bar di Erba – consentì nel 2007 di risalire a Latella, che ha sempre ammesso le proprie responsabilità chiamando in causa Calabrò e Talia.
La posizione del terzetto nel giugno 2012 era stata archiviata dai giudici di Milano nel presupposto giuridico che, oltre al prescritto sequestro di persona, anche l’omicidio volontario aggravato sarebbe stato prescritto. Le indagini sul rapimento della studentessa sono state riaperte all’inizio dello scorso anno, sulla base di una sentenza delle sezioni riunite della Corte di Cassazione che ha stabilito che non c’è prescrizione per l’omicidio volontario aggravato. Nei precedenti procedimenti non c’era traccia di Giuseppe Morabito.
Dal prossimo processo potrebbero emergere fatti nuovi. Soprattutto riguardo alla fine che ha fatto il riscatto pagato per la liberazione della studentessa milanese, il cui corpo era stato ritrovato la sera del 1° settembre 1975 nella discarica di Galliate, in provincia di Novara. Un ritrovamento reso possibile dalla confessione di Libero Ballinari, contrabbandiere ticinese, uno dei carcerieri della 18enne, che in una banca di Ponte Tresa aveva depositato 56 milioni di lire. Soldi provenienti dal riscatto di un miliardo e 50 milioni di lire pagato da Helios Mazzotti per la liberazione della figlia.
Ballinari, messo alle strette dal delegato di polizia di Lugano Gualtiero Medici, aveva raccontato che il corpo di Cristina era stato sepolto nella discarica a Galliate sotto una carrozzina. Un racconto supportato da un disegno della discarica di Galliate. Libero Ballinari e il direttore della banca di Ponte Tresa sono stati condannati a Lugano. A sostenere l’accusa fu l’allora procuratore pubblico Paolo Bernasconi. Nel 1977, in Corte d’Assise a Novara, si arrivò a tredici condanne (otto gli ergastoli). Otto dei condannati, fra cui Ballinari, nel frattempo sono deceduti.
Una tragica vicenda non ancora chiusa.