Ticino

Anche il boss della ’ndrangheta dietro il sequestro Mazzotti

Secondo i pm di Milano, il rapimento sarebbe stato ideato da Giuseppe Morabito. Nella vicenda fu coinvolto anche il ticinese Libero Ballinari

Nuovi sviluppi giudiziari legati a uno dei primi clamorosi rapimenti avvenuti nel Nord Italia
(Ti-Press)
11 novembre 2022
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Il sequestro di Cristina Mazzotti – la 18enne studentessa milanese sequestrata il 1° luglio 1975, a pochi metri dalla casa di Eupilio, sopra Erba, e morta a causa delle condizioni in cui era stata segregata (in una buca dove non poteva muoversi) dai carcerieri, fra cui il ticinese Libero Ballinari – è stato ideato da Giuseppe Morabito, 78enne boss della ’ndrangheta calabrese, residente a Tradate, capo della cosca Morabito, conosciuto come ‘u tiradrittu’ (tradotto dal dialetto calabrese: spara dritto, buona mira, che spara senza rispetto di alcuna regola o persona), considerato il numero uno della criminalità organizzata calabrese. Del coinvolgimento del boss ’ndranghetista nel rapimento di Cristina Mazzotti, una delle pagine più tragiche legate alla stagione dei sequestri di persona in Italia, si è avuta notizia dopo che la Procura di Milano ha inviato a quattro indagati l’avviso di chiusura delle indagini con l’accusa di concorso in omicidio volontario aggravato dalla crudeltà.

Dall’avviso di chiusura delle indagini firmato dal pm Stefano Civardi, sostituto della Procura di Milano, si viene a sapere che il sequestro di Cristina Mazzotti oltre che da Giuseppe Morabito era stato ideato da altri due boss della ’ndrangheta radicata nel Varesotto, Giacomo Zagari (nel frattempo deceduto, coinvolto in altri rapimenti), Francesco Aquilano (pure lui deceduto). Il provvedimento – che prelude a una richiesta di processo – oltre che a Giuseppe Morabito è stato notificato a Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia. Gli ultimi tre, unitamente ad altri complici mai identificati, sono indicati come gli autori materiali del rapimento, personaggi della vecchia ‘mala’ milanese, legati alla ’ndrangheta. Cinquanta milioni di lire il loro compenso.

Le indagini, la confessione e il ritrovamento

Una impronta digitale sulla Mini sulla quale si trovava Cristina che assieme a un amico e un’amica stava tornando a casa dopo aver festeggiato il compleanno in un bar di Erba, consentì nel 2007 di risalire a Latella che ha sempre ammesso le proprie responsabilità chiamando in causa Calabrò e Talia. La posizione del terzetto nel giugno 2012 dai giudici di Milano è stata archiviata nel presupposto giuridico che, oltre al prescritto sequestro di persona, anche l’omicidio volontario aggravato sarebbe stato prescritto. Le indagini sul rapimento della studentessa sono state riaperte all’inizio dell’anno, sulla base di una sentenza delle sezioni riunite della Corte di Cassazione che ha stabilito che non c’è prescrizione per l’omicidio volontario aggravato. Gli autori materiali del rapimento di Cristina Mazzotti erano già finiti sotto processo sul quale era calata la cesoia della prescrizione. Nei precedenti procedimenti non c’era traccia di Giuseppe Morabito. Dal prossimo processo potrebbero emergere fatti nuovi. Soprattutto sulla fine che ha fatto il riscatto pagato per la liberazione della studentessa milanese, il cui corpo era stato ritrovato la sera del 1° settembre del 1975, nella discarica di Galliate, in provincia di Novara.

Le condanne luganesi

Un ritrovamento reso possibile dalla confessione di Libero Ballinari, contrabbandiere ticinese, uno dei carcerieri della 18enne, che in una banca di Ponte Tresa aveva depositato 56 milioni di lire, soldi provenienti dal riscatto di 1 miliardo e 50 milioni di lire pagato da Helios Mazzotti per la liberazione della figlia. Ballinari, messo alle strette dal delegato di polizia di Lugano Gualtiero Medici, aveva raccontato che il corpo di Cristina era stato sepolto nella discarica a Galliate (Novara), sotto una carrozzina. Un racconto supportato da un disegno della discarica di Galliate. Libero Ballinari e il direttore della banca di Ponte Tresa sono stati condannati a Lugano. A sostenere l’accusa il procuratore Paolo Bernasconi. Nel 1977 in Corte d’Assise a Novara, tredici condanne (otto gli ergastoli). Otto dei condannati fra cui Libero Ballinari nel frattempo sono deceduti. Una tragica vicenda non ancora chiusa.