Confine

‘Cavalli di razza’, rinviati a giudizio i due arrestati a Lugano

Certificati gli stretti rapporti fra i due uomini residenti in Ticino e il ruolo di committente del più giovane nell’associazione per delinquere

(Ti-Press)
10 ottobre 2022
|

Un ruolo di committente nell’associazione per delinquere di stampo mafioso legata ad alcune delle più potenti cosche di ’ndrangheta operanti nella Piana di Gioia Tauro, quale è da sempre la famiglia Molè-Pesce-Bellocco. È quello che la Dda di Firenze assegna al 43enne calabrese, di Guardavalle, cuoco-cameriere in un ristorante di Lugano, dove da qualche anno abitava, arrestato nel novembre scorso in riva al Ceresio, assieme a un 60enne milanese, pure lui residente nel Luganese. Le manette ai polsi dei due erano scattate nell’ambito del troncone toscano dell’ampia inchiesta denominata ‘Nuova Narcos Europa’, ma anche ‘Cavalli di razza’ (104 arresti dalla Calabria alla Svizzera, Ticino compreso, passando dalla Toscana alla Lombardia, in primis la provincia di Como).

Nei giorni scorsi la Dda di Firenze ha chiuso l’indagine preliminare sui fatti accaduti al porto di Livorno, dove tre portuali in più occasioni avrebbero facilitato l’accesso al porto toscano a due criminali calabresi, nascondendoli nel bagagliaio delle proprie autovetture, sia per verificare l’arrivo di un carico di cocaina (oltre quattro tonnellate di droga, intercettata e sequestrata dalla Polizia di Stato), sia per portare la polvere bianca fuori dallo scalo.

Gli inquirenti toscani hanno inviato l’avviso di chiusura dell’indagine a 23 indagati, fra cui i due "ticinesi". I reati contestati, in questo filone, vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, con l’aggravante di stampo mafioso, al possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi (passaporti, uno dei quali sequestrato a Ligornetto, dove abitava il 60enne milanese, e che sarebbe servito al 43enne cuoco-cameriere che sentendo bruciare la terra sotto i piedi era in procinto di scappare da Lugano), al favoreggiamento personale e alla corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio.

Viaggi a Berna per riscuotere ingenti somme di denaro

Nell’avviso di chiusura delle indagini la Dda di Firenze fa riferimento ai passaggi più significativi dell’inchiesta che limitatamente agli agganci con il Canton Ticino è iniziata nei primi mesi del 2019, dopo che era stata segnalata la presenza a Livorno di esponenti delle ’ndrine calabresi, che, scottate da una impressionante serie di sequestri nel porto di Gioia Tauro (oltre 800 chili di cocaina nel giro di pochi mesi), avevano deciso di spostare i traffici di droga sullo scalo toscano e su quello di Vado Ligure. Un ruolo di spessore nell’inchiesta degli inquirenti toscani, che hanno agito di concerto con i loro colleghi lombardi e calabresi, viene riconosciuto alle intercettazioni telefoniche, in cui nei primi giorni del novembre 2019 si parla con insistenza di un personaggio considerato "il più quotato, per questo cose qui... i contatti... preparare... parlare... organizzare". Un personaggio di volta in volta indicato come Kappa, Nipote, Lillo, che per l’accusa avrebbe gestito in Italia, dal Sud America, l’importazione della cocaina sulla scorta dei propri contatti con i cartelli sudamericani.

Nell’avviso di chiusura delle indagini della Dda di Firenze si ha la conferma che all’identificazione del 43enne e del 60enne arrestati nel corso del blitz dello scorso anno da parte della Polizia cantonale e di quella federale è stata centrale una telefonata tra padre e figlio, pure loro finiti in carcere, in cui parlano di un incontro (avvenuto il 13 novembre 2019) a Legnano "con quel ragazzo lì... e con la ragazza...". All’incontro la coppia si era presentata a bordo di una Smart, targata Ticino e presa a noleggio a Bironico. Autovettura fermata per un apparente controllo, utile a identificare il 43enne cuoco-cameriere che a Lugano aveva cominciato a lavorare in un ristorante il cui proprietario era il 60enne milanese. Negli atti allegati al fascicolo giudiziario figura anche la copiosa documentazione che, fornita dalle autorità svizzere, certifica gli stretti rapporti fra il 43enne e il 60enne e i viaggi a Berna del secondo per riscuotere ingenti somme di denaro che recapitava al più giovane dei due. Nel frattempo il 43enne, essendo venute meno le esigenze cautelari e non potendo inquinare le prove, è passato dal carcere all’obbligo di dimora a Guardavalle, comune in cui risiede.