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Casa, crack e chiesa: Phoenix, la città che scotta

Dopo un boom demografico, la capitale dell’Arizona ora soffre il caldo, con punte di 43 gradi per 54 giorni l’anno. Qui si possono decidere le elezioni

Con l’ombrello per difendersi dal sole nel centro di Phoenix
(Keystone)
3 giugno 2024
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Esco dal mio motel scalcinato per fare colazione, giro l’angolo e mi imbatto nella City of Grace, Chiesa di un culto che ha meno anni di me, una di quelle religioni fai da te dalla trinità sbilenca “padre-figlio-contoinbanca” che prosperano come non mai negli Stati Uniti, con l’immagine in bianco e nero dei due pastori che l’hanno creata, in posa sorridenti come in un book fotografico pronto da mandare a Hollywood. È mattino presto e la chiesa è chiusa: sulle scale c’è un uomo con la maglietta di Capitan America la cui colazione è a base di crack.

Siamo a due passi dal centro di Phoenix, in Arizona, la quinta città più popolosa del Paese.


R. Scarcella
Una bandiera americana accanto a un Saguaro, cactus simbolo dell’Arizona

Motel vista spari

La sera prima, in cerca di un posto sotto i cento dollari in cui passare la notte, ho scartato il Motel 6, in cui sono recentemente avvenute due sparatorie. Alla fine ne ho spesi 120 per ritrovarmi con una stanza impregnata di fumo, le lenzuola macchiate di qualcosa che sembra sangue e gli asciugamani già bagnati.

Chiedere alla reception un qualsiasi intervento si rivelerà inutile: il ragazzino dietro il bancone ripete come un disco rotto che è il suo secondo giorno di lavoro e non ha idea praticamente di nulla.

Il telo da mare che avevo in valigia mi farà da lenzuola e asciugamano prima di essere abbandonato lì per sempre. Almeno non ho sentito spari, che sembra una magra consolazione, ma tenersi lontano dai proiettili vaganti, da queste parti, è quasi impossibile. Poche ore dopo, a Mesa, una città di 500mila abitanti (definita appena qualche anno fa la “più conservatrice d’America”) confinante con Phoenix, moriranno tre persone in due sparatorie distinte, una in casa, l’altra nel parcheggio di una pizzeria. Per cercare (e trovare) lenzuola pulite in quella che dovrebbe essere la mia seconda notte nell’area di Phoenix, finisco a Tempe, sede della Arizona State University. Spendo 135 dollari, ma almeno non devo mettere uno strato di tessuto tra me e le superfici della stanza.


Keystone
Acqua gratis contro la calura

Sobborghi plastificati

Per arrivare a Tempe sono passato per Scottsdale, il sobborgo che ogni sito web indica come il migliore in cui vivere nell’area metropolitana di Phoenix. Credo di non aver mai visto un posto più artificioso e plastificato di Scottsdale, dove rinuncio perfino alla colazione, per paura che sia finta come tutto il resto, come certi piatti che vengono mostrati in tv, invitanti, ma che in realtà sono fatti con gel, colle e vernici. L’altra cosa che ho notato è che fa caldo, molto caldo, forse troppo. Da qualche tempo se lo stanno chiedendo anche autorità locali, meteorologi e scienziati.

Il caldo a Phoenix è sempre stato il punto di forza, capace di attrarre centinaia di migliaia di persone stufe di spalare neve, inzupparsi di pioggia, tenere le magliette negli armadi e indossare impermeabili e cappotti. La crescita della città è impressionante se si pensa che ha più abitanti di Philadelphia o Dallas e nel 1940 ne aveva quanti ne conta Lugano oggi (64mila). Nel 1990 non arrivava al milione di abitanti, oggi ha superato il milione e seicentomila.


R. Scarcella
Una panchina a stelle e strisce a Tempe

Eppure c’è stato un rallentamento negli ultimi anni che ha a che fare proprio con il caldo che è diventato eccessivo. E quindi un problema da risolvere.

Record e malori

I 320 giorni di sole l’anno di cui la città si vantava sono stati oscurati da record simili, ma di cui preoccuparsi. Nel 2023, per la prima volta, il termometro ha superato i 43 gradi per 31 giorni consecutivi e per 54 in totale (e 133 giorni sopra i 100 gradi Fahrenheit, ovvero 37,8 gradi Celsius). Le morti certe correlate al caldo, solo in città, sono state duecento nel 2023, ma – secondo le stime dei giornali locali – è ragionevole ritenere che l’afa e le temperature eccessive abbiano contribuito ad almeno 500 decessi.

Di storie di malori e aria condizionata rotta sono piene le cronache. La storia invece ricorda come prima del progresso tecnologico, a Phoenix ci fosse l’abitudine – in estate – di mettere i materassi in giardino, creare una specie di zanzariera rudimentale e dormire direttamente all’aperto.


Keystone
Un senzatetto dentro una tenda

Oggi, tanti dormono in strada, ma per necessità e non per scelta, in una città che mentre cresceva si è dimenticata quanto crescesse anche il numero di persone che contribuiva a quella ricchezza senza però potersela permettere. Anche così è nata “The Zone”, un nome da videogioco post-atomico che invece era una tendopoli cittadina capace di mangiarsi fino a 15 isolati: una volta sgomberata, pochi mesi fa, il problema non si è risolto, ma frammentato. Non più un maxi-agglomerato, ma tende sparse qua e là. Basta entrare o uscire dall’aeroporto internazionale Sky Harbor per vederne alcune sotto i cavalcavia. C’è chi cinicamente vede nel caldo estremo una soluzione all’aumento dei senzatetto, che potrebbero emigrare in luoghi con temperature meno pericolose per chi vive – letteralmente – sull’asfalto. E chi distribuisce acqua gratis per evitare insolazioni o peggio.


Keystone
113 gradi Fahrenheit (45° Celsius)

Biden ha vinto, ora rincorre

La politica non sembra dare soluzioni, anzi, andando verso le elezioni presidenziali di novembre sembra piuttosto il contrario: il Nevada, infatti – secondo la maggior parte degli analisti – è uno dei 7 “Swing States” decisivi (Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin), ovvero gli Stati in bilico, quelli che possono spostare, magari per una manciata di voti (o di delegati) il destino del Paese. Nel 2020 la vittoria di Biden fu storica, perché in Arizona nemmeno Obama era riuscito nell’impresa di scalzare i repubblicani. Tra i democratici, l’ultimo a farcela era stato Bill Clinton nel 1996.

Ancora più straordinario è stato il risultato di Biden nella contea di Phoenix (Maricopa County). Un democratico non vinceva nell’area della capitale dello Stato addirittura dai tempi di Truman: stiamo parlando del 1948. A cambiare il vento contribuì la folle campagna oltranzista di Trump e l’arrivo di molti immigrati, soprattutto dal Messico, storicamente più vicini alle posizioni Dem. Oggi tutto però è di nuovo in bilico in Arizona, con Trump avanti di quasi 5 punti sul presidente nei sondaggi su base locale. Sarà una campagna elettorale, nemmeno a dirlo, molto calda.


R. Scarcella
Poster anti-Putin nel centro di Phoenix