Un impegno costante
Già più volte ci siamo soffermati sul ruolo delle aziende nella società, spesso sottovalutato perché magari un po’ “oscuro” e poco pubblicizzato, ma fondamentale nel contesto della sostenibilità non solo economica ma anche sociale e ambientale, temi sempre più ricorrenti nella discussione pubblica.
È fuori di dubbio che la centralità della funzione di base delle impresa, cioè produrre ricchezza e creare posti di lavoro non è in discussione. Ma le aziende fanno anche molto altro nel contesto di quella che viene definita “Responsabilità sociale delle aziende” o anche CSR secondo la denominazione inglese).
Da tempo i dati certificano inequivocabilmente che nel contesto della CSR gli imprenditori svolgono un ruolo essenziale con comportamenti che favoriscono ad esempio la conciliabilità fra lavoro e famiglia. Senza dimenticare che dal 2019 al 2023 il mondo economico, proprio per questa tema, ha versato nelle casse cantonali 91 (novantuno) milioni di franchi prelevati sulle masse salariali, come previsto dalla cosiddetta riforma fisco-sociale del 2018. Mezzi destinati all’assegno parentale e alle misure sulla conciliabilità lavoro-famiglia e più particolarmente al sostegno alla spesa di collocamento dei figli, ai servizi e alle strutture di accoglienza e la sensibilizzazione delle aziende. Oltre alle misure di sostegno ai familiari curanti.
I dati raccolti in questi anni sul tema sono molto chiari, nel senso che le aziende ticinesi sono, a livello nazionale, posizionate nella media superiore delle misure prese a favore di collaboratrici e collaboratori, dell’ambiente e dell’efficienza economica (quindi a beneficio della società in generale). Le buone pratiche sono correnti e di varia natura, da misure apparentemente “banali” come l’informazione regolare di collaboratrici e collaboratori in merito all’andamento dell’azienda, passando per la priorità data ai fornitori locali e la promozione della formazione per il personale. Indicazioni più dettagliate si trovano nel documento CSRfocus “Responsabilità sociale delle aziende in Ticino”, che abbiamo pubblicato nel 2022. File disponibile sul nostro sito web www.cc-ti.ch.
A volte si tratta di comportamenti considerati assolutamente normali e usuali, magari immediatamente visibili, ma che hanno un risvolto rilevante sul benessere di chi lavora nell’azienda. Per far emergere questa importante realtà, lo strumento del report online (www.ti-csrreport.ch) che abbiamo sviluppato con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) ha lo scopo di facilitare il lavoro delle aziende nell’evidenziare i vari ambiti nei quali il loro impegno va ben oltre quanto gli scettici considerano, a torto, “greenwashing”.
Anche le aziende ticinesi sono, nel limite delle loro possibilità, molto sensibili al tema. Purtroppo, un tessuto economico caratterizzato da piccole realtà ha dei limiti fisiologici su questo tema, nel senso che organizzare assenze, congedi, ecc. è tutt’altro che un esercizio semplice. Di questo occorre tenere conto ed è precisamente il motivo per il quale soluzioni forfettarie non esistono e occorre togliersi dalla testa la tentazione di imposizioni generalizzate, perché queste non sono gestibili, pena la paralisi del sistema economico. Sono invece possibili ed auspicate vie concordate fra aziende e dipendenti, all’insegna della collaborazione. Una collaborazione che deve esistere anche con il settore pubblico, al fine di disporre anche misure che non richiedono sforzi finanziari imponenti ma che possono rendere più facile la vota di tutti applicando il buon senso. Pensiamo non a caso a talune regole troppo penalizzanti per la gestione degli asili-nido, agli orari scolastici, ecc..
Notoriamente da oltre dieci anni collaboriamo con l’Ufficio dell’Assicurazione Invalidità dell’Istituto delle assicurazioni sociali per sostenere il reintegro nel mondo del lavoro di persone che, per vari motivi, hanno avuto problemi di salute che ne hanno interrotto il percorso professionale. Nel quadro di una manifestazione annuale chiamata “Agiamo Insieme” (il sunto dell’ultima edizione è consultabile all’indirizzo:
www.cc-ti.ch/agiamo-insieme-2024), vengono celebrate persone e aziende che si sono particolarmente impegnate in questa delicata operazione. Un’occasione di aggregazione importante che deve servire da sprone per molte altre persone in difficoltà e mira a sensibilizzare le aziende sulle varie possibilità che sono messe a disposizione per facilitare il reintegro di lavoratrici e lavoratori che devono riattivare la propria autostima e vita. In questo senso la collaborazione fra pubblico e privato è decisiva. Una collaborazione fra pubblico e privato che dimostra come vi sia una volontà comune di andare ben oltre il solo interesse economico. Una vera sensibilità per le persone e il territorio, che vede aziende di ogni settore, dall’industria ai servizi, determinate a predisporre importanti misure per agevolare collaboratrici e collaboratori con difficoltà. Chi parla di disimpegno dell’economia dalla realtà sociale evidentemente si sbaglia di grosso.
I fatti dimostrano che le aziende, oltre a svolgere il loro compito primario essenziale di creare ricchezza, contribuiscono in maniera sostanziale allo sviluppo sostenibile. Ovviamente vi sono anche motivazioni legate alle esigenze di mercato, perché il posizionamento come entità moderne, innovative e responsabili ha certamente sempre maggiore rilevanza.
Me se fosse solo un interesse “mercantile” a muoverle, la cosa emergerebbe molto in fretta e sarebbe addirittura controproducente. Il contributo dell’economia alla società è fattuale e reale, frutto di una convinzione ben radicata.
Le aziende sono fatte di persone e prendersi cura di loro è una relazione win-win.Sono solo alcuni esempi di una lista non esaustiva del contributo delle aziende alla collettività. Sarebbe bene tenerne conto anche nei dibattiti pubblici.
Ci risiamo. Il prossimo 9 febbraio saremo chiamati alle urne per esprimerci sull’ennesima iniziativa moralizzatrice e liberticida. La cosiddetta iniziativa sulla responsabilità ambientale su cui gli svizzeri è semplicemente assurda e irrealistica. Chiede in sostanza che la Svizzera riduca l’impatto ambientale del 67% nei prossimi dieci anni, operando entro i limiti naturali della terra entro dieci anni. Nessuno mette in dubbio che la protezione della natura e dell’ambiente sia un obiettivo da perseguire e del resto la Svizzera non è per nulla inattiva sul tema. Da anni si stanno predisponendo misure, anche molto incisive, basti pensare alla legge sul CO2 e alla legge sull’elettricità. Del resto, non è un caso che dal 2000 la Svizzera è riuscita a mantenere la sua crescita e la sua prosperità riducendo l’impatto ambientale di oltre un quarto, il che dimostra che il buon funzionamento dell’economia e la protezione della natura non sono incompatibili. Anzi. Seguendo l’iniziativa si giungerebbe paradossalmente all’assurdità della riduzione dell’attività economica, riducendo anche le fonti di finanziamento delle politiche pubbliche. Un’autorete clamorosa di cui i vati dei divieti e della moralizzazione sembrano non rendersi conto, illudendosi probabilmente che i mezzi finanziari crescano sulle piante.
Con le misure draconiane che verrebbero introdotte per limitare in pochi anni le attività economiche vi sarebbe un’insostenibile rivoluzione del sistema economico con penalizzazioni per molti settori (agricoltura, energia, abitazione, abbigliamento, mobilità, ecc.), aumenti di costi spropositati per beni e servizi e un impatto sociale devastante per la popolazione. In nome della sostenibilità ambientale si omettono completamente gli altri due pilastri della sostenibilità, cioè quello economico e quello sociale, altrettanto fondamentali affinché il sistema funzioni.
La transizione verso una società a basse emissioni di carbonio e rispettosa dell’ambiente richiede la considerazione di tutte le variabili.
È davvero una via praticabile quella di tornare agli anni Trenta del secolo scorso? Restrizioni imposte ai consumi, alla mobilità all’interno della Svizzera e ai viaggi all’estero, esplosione dei costi di cibo, riscaldamento, affitto e abbigliamento a causa di una scelta sempre più ristretta di prodotti a prezzi molto più alti significano una drastica riduzione della qualità di vita di tutte le cittadine e di tutti i cittadini.
Chi pretende di dare lezioni agli altri e di punire i comportamenti che, per convinzioni personali, ritiene poco “virtuosi”, non si rende conto che, mettendo in ginocchio il sistema economico senza valide alternative, non si sanzionano solo le aziende presunte cattive ma si massacra la popolazione. Obbligare le aziende questo a modificare alcuni fattori produttivi, in particolare i macchinari, prima della fine del loro normale ciclo di vita, comporterebbe oneri insostenibili, con costi spropositati per consumatrici e consumatori. Dati i costi di produzione già estremamente elevati in Svizzera - in particolare salari, affitti e prezzi dell’energia - e la forza del franco svizzero, i margini non sono abbastanza elevati per assorbire tali investimenti in un decennio. Conseguenza: impoverimento del tessuto economico e di tutta la popolazione. Non vi sono alternative a un chiaro NO a questa iniziativa che, se venisse accettata, paradossalmente saboterebbe anche la realizzazione degli scopi che si prefigge perché prosciugherebbe le risorse necessarie alla tutela dell’ambiente. Un’assurdità irresponsabile.