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Una morte a Venezia tra danza, video e parole

Liv Ferracchiati ha portato in scena, mercoledì sera al Foce, la sua personale e molto intellettuale rilettura del romanzo di Thomas Mann

Liv Ferracchiati e Alice Raffaelli
(Tommaso Le Pera)
19 dicembre 2024
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Una videocamera su un treppiede, uno schermo, un cestino di fragole. Una voce fuori campo, l’autore-interprete Liv Ferracchiati che inquadra prima il pubblico, poi la danzatrice Alice Raffaelli. Coreografie che si intrecciano con il flusso di coscienza delle parole, con la videocamera che ora è occhio e sguardo del pubblico, ora occhio e sguardo sul pubblico.

Evocare ‘La morte a Venezia’ significa evocare Thomas Mann e Luchino Visconti. Intitolare così, giusto aggiungendo un ‘Libera interpretazione di un dialogo tra sguardi’, un lavoro che si discosta così radicalmente da queste opere – pur condividendone la complessità psicologica e filosofica – è una scelta coraggiosa. Ferracchiati sceglie di concentrarsi su un particolare aspetto del testo di Mann: il tema dello sguardo come strumento di conoscenza e trasformazione. L'ossessione di Gustav von Aschenbach (interpretato, se è il termine corretto, dallo stesso Ferracchiati) per il giovane Tadzio (Alice Raffaelli) viene riletta non tanto, o non solo, in chiave erotica, quanto come metafora del processo creativo e della ricerca dell'ispirazione artistica.

È, appunto, una “libera interpretazione” e anche molto interessante: dell’originale vengono mantenuti i personaggi principali e alcune situazioni chiave, ma la struttura narrativa viene completamente destrutturata per creare un percorso scenico che privilegia l'aspetto contemplativo e riflessivo, dove il confronto tra i due protagonisti avviene principalmente attraverso la videocamera.

Liv Ferracchiati, già noto per una trilogia teatrale sul tema dell'identità di genere (tra cui ‘Stabat Mater’, premio Hystrio 2017) e per il romanzo ‘Sarà solo la fine del mondo’, aveva già reinterpretato, l’anno scorso, ‘Il gabbiano’ di Čechov con l’applaudito ‘Come tremano le cose riflesse nell'acqua’. Per confrontarsi con Thomas Mann, ha fatto ricorso a un approccio innovativo e stimolante, intrecciando parola, danza e video per comporre un tessuto scenico complesso e suggestivo. Forse troppo complesso: ‘La morte a Venezia’ di Liv Ferracchiati è uno spettacolo difficile da seguire. Le riuscite coreografie di Raffaelli sono un efficace controcanto all’intellettualismo del testo, ma ugualmente la riflessione proposta da Liv Ferracchiati sullo sguardo come strumento di trasformazione sembra più adatta a un saggio filosofico che a uno spettacolo teatrale. ‘La morte a Venezia’, nella sua indubbia raffinatezza formale, rischia di rimanere intrappolata nella sua stessa complessità concettuale.