laR+ L'intervista

Eredità e successione, il cinema a Soletta

A margine della conferenza di presentazione, la 60esima edizione delle Giornate cinematografiche nelle parole del direttore artistico Niccolò Castelli

Niccolò Castelli
(Keystone)
11 dicembre 2024
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Aprirà ‘Die Hinterlassenschaft des Bruno Stefanini’ (L’eredità di Bruno Stefanini), film di Thomas Haemmerli che ricostruisce l’ascesa dello zurighese da figlio di immigrati italiani a collezionista miliardario. Nel titolo c’è uno dei temi forti delle imminenti Giornate del Cinema di Soletta, presentate oggi a Berna. Eredità e successione sono tratto comune a molte delle opere che saranno proiettate dal 22 al 29 gennaio, “ponti tra passato e presente”, come li chiama Niccolò Castelli, direttore artistico della rassegna che festeggia quest’anno il suo 60esimo. La sezione ‘Panorama Suisse’ (i migliori film di Svizzera) è pronta a proiettare 162 pellicole, molte delle quali in prima mondiale o svizzera. Dei 91 lungometraggi, 52 provengono dalla Svizzera tedesca, 18 dalla Romandia, 7 dal Ticino; 14 hanno provenienze diverse. Tra tutti questi titoli, 21 sono in lizza per i tre concorsi ‘Prix de Soleure’, ‘Prix du Public’ e ‘Visioni’. I restanti 71 film sono cortometraggi.

Fra i film di finzione fuori concorso, Soletta ha scelto ‘Reinas’ della svizzero-peruviana-luganese Klaudia Reynicke, ovvero la Svizzera candidata all’Oscar per il Miglior film straniero, e ‘September 5’ di Tim Fehlbaum, nominato lunedì scorso ai Golden Globe nella categoria Miglior film drammatico. Dell’omaggio al paesaggio del Giura, con una retrospettiva che copre un secolo di storia del cinema, di Soletta 60 nel suo insieme e di cinema svizzero e ticinese parla con noi il direttore artistico.

Niccolò Castelli, le giornate del Cinema di Soletta raggiungono quest’anno la 60esima edizione, come festeggiate questa edizione tonda?

Abbiamo deciso di dedicare l’edizione al luogo dove si svolge il festival. Per i cinquant’anni delle Giornate si omaggiavano le persone che ne facevano parte, questa volta invece al centro sarà la regione del Giura. Sarà un viaggio che ripercorre gli ultimi cento anni di cinema dal muto a oggi, in collaborazione con il Kunstmuseum di Soletta. Abbiamo voluto indagare una regione che ha dato tanto al cinema, che da Basilea si estende fino a Ginevra ma che spesso è dimenticata. Si pensa sempre alle Alpi, alle grandi città, ma il Giura è un paesaggio che ha dato ambientazioni a thriller, western, commedie. Tra i nomi noti, Alain Tanner, Ursula Meyer. Interessante è ‘Vingt Dieux di Louise Courvoisier’, presentato anche nella sezione Un certain regard di Cannes quest’anno, dove il Giura, qui francese, diventa addirittura personaggio. Ma anche ‘Tout un hiver sans feux’, film del 2004 di Greg Zglinski, nel quale il freddo inverno giurassiano si scontra con il caldo delle acciaierie della Brevine.

Quale l’importanza delle Giornate nel panorama cinematografico elvetico?

In un contesto dall’offerta sempre più sovrabbondante per quanto riguarda l’intrattenimento, ci vogliono dei luoghi come Soletta che forniscano una bussola, selezionino, facciano ordine, presentino una mappa e un’idea di cosa sia il cinema svizzero oggi. È un luogo dedicato alla relazione e al tempo con e per gli spettatori, si discute, si scambiano idee e ci si accorge, per esempio, che il cinema svizzero parla sempre più di noi, della nostra società, dei problemi che ci coinvolgono.

Parliamo della sezione ‘Visioni’, creata lo scorso anno.

Quest’anno abbiamo deciso di concentrarci sulle tematiche forti che rappresentano le nuove generazioni di cineasti. Tematiche che spesso rimbalzano tra i media, ma non sempre vengono indagate fino in fondo. Parlo di malattie psichiche nei giovani, per esempio. Il ticinese Filippo Demarchi con ‘Osteria all’undici’ racconta con coraggio il burn-out. Ma non solo, le nuove generazioni si interessano anche ai lupi, alla natura. Sono in rottura con quelle precedenti non perché si vogliono smarcare, ma perché non danno per scontato quello che è stato fatto e asserito prima di loro. I giovani si sono resi conto che oggi non tutto funziona bene: si parla di crescita, libertà di parola, democrazia, tutte tematiche che pareva fossero assodate e invece nella realtà non lo sono.

Quando dall’estero ti chiedono di descrivere il cinema svizzero, tu come lo caratterizzi? C’è qualcosa che contraddistingue la produzione in questo Paese multilingue e multiculturale?

Se penso al Cinema svizzero, vedo nuove generazioni che si nutrono dello scambio e del vantaggio di essere in mezzo all’Europa. La sua forza, di cui deve andare fiero, sono le contaminazioni, la permeabilità tra nuove generazioni. Ci sono giovani cresciuti qui ma arrivati dai Balcani che in questi anni si chiedono cosa sia l’Europa oggi, per esempio.

E per quanto riguarda il cinema ticinese, come è rappresentato a Soletta?

È un anno forte per il documentario. Un lungometraggio molto bello della competizione principale è appunto ‘Il ragazzo della Drina’, di Zijad Ibrahimovic. Mi riallaccio a quanto detto prima: a trent’anni dalle stragi il film torna in Bosnia e si chiede quale sia l’eredità di quella guerra oggi, cerca di ricostruire e superare un trauma collettivo, è molto forte.

Parlando di eredità, è un tema molto presente a Soletta, è importante anche perché tocca diversi tabù nella nostra società. Come mai secondo te ci facciamo i conti proprio questi anni?

Io stesso sono stato sorpreso da questo tema, che è arrivato forte e chiaro. Ci stiamo facendo i conti perché ci siamo resi conto che tutto quello che ci è stato venduto per ottimo e scontato non lo era. Ci sono questioni basilari, come per esempio avere un tetto sopra la testa, un lavoro, che ora sono in discussione. È l’eredità di un secolo di grandi guerre. Cosa succede nel mondo? Le nuove generazioni vogliono appropriarsi di un futuro che non è quello proposto dai genitori e dai nonni. È interessante, perché non vuol dire a tutti i costi rompere ma almeno porsi la questione. Penso al documentario ‘Immortals’ di Maja Tschumi, o ‘Wir Erben’ di Simon Baumann (visto anche alla Semaine de la Critique a Locarno, ndr).

Parlando di giovani, in generale le nuove produzioni sembrano spesso molto concentrate sulla vita degli autori o di chi gli sta accanto.

Certo, e questo è un aspetto critico. Lo abbiamo visto molto nei cortometraggi, ma in generale nelle proposte che ci sono arrivate. I social hanno contribuito al rischio di una sempre maggiore autoreferenzialità. A Soletta abbiamo cercato di selezionare film che non ci cascano, che non cadono in questa sorta di egomania. Abbiamo cercato di parlare anche della famiglia, dell’individualismo dilagante sì, ma quando questo viene messo in discussione, affrontando le complessità. Dove finisce il mio mondo e dove inizia quello degli altri? Domande così, cruciali, rispetto alla nostra società. A chi raccontiamo le storie? Chi siamo, abbiamo paura dell’altro? I film devono essere generosi, e parlare anche agli altri.

Parlando di vite degli altri, un’altra caratteristica della produzione degli ultimi anni, in generale, sono i biopic, e pare che anche a Soletta ne vedremo parecchi.

Sì, c’è una sezione, ‘Focus’, l’unica nella quale mostriamo film internazionali, accompagnata dall’idea di avere una zona dove si può discutere dei trend del cinema internazionale. Quali sono i pregi e le virtù ma anche i difetti di questi trend. Come dici, ogni settimana esce un nuovo biopic: noi ci chiediamo, quali sono i motivi? Come si fa un biopic, come ci si scarta? Come si fa a stimolare figure controverse? Lo facciamo con film recenti interessanti, e una serie di tavole rotonde e masterclass che indagano a fondo il tema. Io la vedo anche come una nuova forma di pensare ai supereroi, a nuovi modelli che devono affrontare la complessità della vita.